Venanzio Lupacchini è un cittadino illustre di Lucoli abbiamo cercato di sapere qualcosa in più sulla sua vita di studioso.
Una delle fonti bibliografiche consultate
Pagina con la quale si comincia a descrivere la vita di V. Lupacchini
Siamo nel 1700. Il periodo descritto dal libro riguarda l’ultimo periodo borbonico: quarantuno anni dal “partir di Carlo III al finir del secolo. Incomincia dalla solenne dichiarazione dell’incapacità di Filippo Antonio a regnare; prosegue con una minorità; e termina con una rivoluzione ed una Repubblica efimera”. E la cultura? “Sotto Carlo III divenne più lieto e più sereno il giorno; sorse a nuova vita al pari della sepolta Ercolano marina, il commercio e la libertà e la sicurezza di più milioni di vassalli. Ma la morte del Cattolico re Ferdinando VI chiamò Carlo ed Amalia in Ispagna al retaggio immenso di quasi due mondi. L’anno 1759 a’ 5 di ottobre videsi il Cratere ingombrato da quaranta vascelli Spagnuoli e dà legni Napoletani, e la spiaggia coperta di un popolo immenso intenerito e lagrimoso. Quel dì memorabile parve ad un tratto festa, trionfo ed amara dipartita. Una Regenza destinata dal re che si allontanava servì da fiaccola al picciolo re nel governare. Si allontanò il buon padre quando il figlio abbisognava del suo esempio e di un soccorso vicino pel disviluppo dè germi di giustizia e di beneficenza onde avealo fornite la natura che per lui fece tutto. Contando tredici anni della sua età erasi già avveduto di essere dal suo popolo amato….Il popolo languiva e dava da temere ai Regenti…”
Nel 1759 Venanzio Lupacchini aveva 29 anni ed aveva già abbandonato Lucoli.
Pietro Napoli-Signorelli, Professore emerito di Critica Diplomatica nella R. Università di Bologna, scrive nel 1811 queste parole su Venanzio Lupacchini.
“Venanzio Lupacchini fu un altro degno discepolo del Serao. Nacque a’ 19 di maggio del 1730 in Collimento dello stato di Lucoli poche miglia discosto dall’Aquila, e morì d’idrofobia agli 8 di ottobre del 1775. Ci volle tutta la penetrazione del proprio ingegno per vincere gli errori de’ primi suoi maestri ammiratori dell’Achillini, e delle arabe scuole non ancora in qualche paese obbliate. Per buona ventura si condusse in Napoli dove alto splendeva il sole della vera filosofia, e per apprendere la medicina gli toccò in sorte di ascoltare l’incomparabile Serao. All’appressarglisi un novello orizzonte gli si aperse innanzi. Comprese allora la necessità d’iniziarsi nella lingua greca per la facoltà prescelta, e l’apprese dal celebre Martorelli, mercè dé cui insegnamenti giunse a leggere originali gli aforismi del grande osservatore di Coo (1) nel tempo stesso che si deliziava nell’amenità e nel fulgid’oro di Omero, di Demostene e di Tucidite. Percorsi tutti i rami del sapere all’arte medica attinenti, e data opera alla storia naturale, al diritto di natura, all’antiquaria ed alla bibliografia, si ricondusse in Aquila per esercitarvi la medicina; e ben tosto divenne il primo medico di provincia. Espulsi i gesuiti ottenne per concorso a pieni voti la cattedra di lingua greca, e dopo tre anni quella del diritto naturale cui andava congiunta la sopraintendenza delle regie scuole dell’Aquila; ed in seguito il governo del convitto con onorevole assegnamento. Egli ha scritti componimenti italiani e latini in prosa ed in versi, e trattati di medicina e consulti con leggiadria di proprietà e dottrina che con pubblica jattura giaccioni sepolti insieme con molte lettere scritte al Serao ed al Morgagni dè quali godeva stima. Egli aveva pensato ad una ristampa dell’opera di Cornelio Celso consultando le varianti di tutte l’edizioni e dè mss con aggiungervi prolegomeni e dissertazioni per illustrare i luoghi dubbi ed oscuri, ed a tal fine si recò in Roma e riscontrò sette edizioni della Vaticana, e tutto ciò gli permise osservare nella sua raccolta Celsiana il fu dotto Ludovico Bianconi. Due deputati dell’accademia di Edimburgo collo stesso intento di riscontrare i codici di Celso giunsero a Roma, ed informati della perfezione del lavoro del Lupacchini gli domandarono i suoi scritti per imprimerli in Glasgow a suo profitto offerendogli un numero grande d’associati; ma il Lupacchini in convenevol maniera ricusò l’offerta. L’opera avanzata per veder la luce, quando fu dalla morte immaturamente involato al pubblico bene ed alla sua gloria.
Ancora, scriveva di lui, il suo amico Giovanni Lodovico Bianconi nelle Lettere sopra Aulo Cornelio Celso al celebre Abate Girolamo Tiraboschi. “Funesta lettera del Sig. Marchese Gaspare de Torres nobilissimo Cavaliere Abruzzese suo, e mio rispettabilissimo amico coll’inaspettata nuova, che il Lupacchini nel fiore dell’età, e della fortuna è morto gli scorsi giorni, è morto della più crudele delle malattie, alle quali l’umana miseria sia sottoposta. Un cane, un fatal cane da lui amato lo morse quattordici mesi sono inopitatamente, ed ora soltanto è scoppiata un’immedicabile idrofobia, che me lo ha furiosamente rapito. Addio speranze di Celso; addio, fatiche, e viaggi; addio, meditazioni e forse, addio suppellettile Celsiana rimasta colà Dio sa mai in mano di quali ignoranti!”. Interessante un contributo storico di Lupacchini relativo al Paese di Paganica, affermò che ebbe origine dalla esistenza primordiale di un tempio dedicato a Giove Paganico, avvalorando tale ipotesi dal ritrovamento sull’agro paganichese di una iscrizione in lapide che diceva: IOVI PAGANICO SACRUM e tale iscrizione la si troverebbe pubblicata dal Muratori nel “Tesoro delle iscrizioni”. Al giorno d’oggi non è stato possibile rintracciare il testo di Lupacchini, poiché molti suoi scritti sono scomparsi. Il suo amico Biancóni che molto ha scritto su di lui, fu poligrafo (Bologna 1717 – Perugia 1781). Dimorò a lungo in Germania (1744–64), poi a Roma, come ministro di Augusto III di Sassonia. Scrisse di letteratura, arte, epigrafia, archeologia, fisica, medicina. Scritti principali: Lettere sopra alcune particolarità della Baviera e d’altri paesi della Germania (1763); Lettere sopra A. Cornelio Celso (1779).
L’opera su Cornelio Celso non fu mai terminata perchè anche il Bianconi morì prematuramente.
Ma chi era Aulo Cornelio Celso (2) che aveva affascinato Lupacchini e molti studiosi del tempo? Vissuto probabilmente nel settantennio comprendente l’impero di Augusto e di Tiberio, secondo Plinio non fu medico di professione. Fu autore di una vasta opera enciclopedica, chiamata De artibus e composta da sei libri, l’ultimo dei quali dedicato alla medicina. Il suo unico libro giunto fino ai nostri tempi è proprio quest’ultimo, il De Medicina. È una fonte primaria su dieta, farmacia, chirurgia (per Celso i tre settori fondamentali della medicina) e materie connesse. L’opera, compilando e rielaborando numerosi testi greci e latini, fonda un’originale impostazione metodologica che riunisce l’approccio empirico con quello razionale. Il De Medicina di Celso è uno delle migliori fonti sulla conoscenza medica alessandrina. Nel proemio dell’opera, troviamo una discussione sui pro e i contro della sperimentazione medica sull’uomo e sugli animali. Il libro di Celso fu ritrovato da Papa Niccolò V e pubblicato nel 1478. Il suo libro diventò famoso per il suo elegante stile latino. La parte perduta della sua enciclopedia includeva volumi che parlavano di agricoltura, diritto, retorica e arti militari.
incisione che raffigura Aulo Cornelio Celso
Bibliografia su Venanzio Lupacchini
Lettere di Teodoro Momsen agli italiani, pp. 399-400 n. X; F. Di Gregorio, Venanzio Lupacchini: “Litterata marmora Aquilae et in vicinia eius exstantia”, in Bull. Dep. Storia Patria Abruzzo, 64 (1974), 345-427; A. Pasqualini, Gli studi epigrafici in Abruzzo e il contributo di A. L. Antinori, in Antinoriana. Studi per il bicentenario della morte di Antonio Ludovico Antinori (Deputazione Abruzzese di Storia Patria), I, L’Aquila 1978, 98-101; Di Gregorio, Venanzio Lupacchini. Epistolario, Chieti 1979; id., La poesia di Venanzio Lupacchini, Pescara 1984. (1) Scuola di Coo.Nasce qui il concetto di clinica e della conseguente diagnosi. Il medico è uomo, e la sua opera non ha sfumature soprannaturali, mistiche, astratte o filosofiche. La medicina deve essere una ricerca continua, serena e disinteressata alla quale bisogna dedicarsi solo per amore di essa e della natura umana, ed è basata sull’osservazione diretta del malato. La patologia è per la prima volta intesa come affezione generale e non limitata ad un organo singolarmente. (2)La scuola di Roma. Come professione, la medicina non era più considerata in Grecia di quanto lo fosse a Roma. I medici erano di base degli artigiani che probabilmente godevano di qualche considerazione presso i loro clienti, ma non erano parte della élite socio-politica. Molti erano schiavi Greci liberati, ed in effetti essendo la qualità di cura ed il successo terapeutico così bassi, c’era un notevole scetticismo sulla loro capacità. Anche Gargilio Marziale, nel III secolo, ricordava (Prefatio, 7) che «Alcuni medici chiedono un prezzo eccessivo per la maggior parte delle inutili medicine e droghe, ed altri nel loro mestiere cercano di trattare malattie che essi ovviamente non capiscono». Analoghi appunti di scherno vengono ritrovati nei celebri Epigrammi (1.47; 5.9 e 8.74). La medicina a Roma per i primi secoli fu quasi esclusivamente magica. Soltanto agli dèi veniva attribuita la facoltà di guarire. L’igiene generale della popolazione era curata e fin dai tempi della repubblica iniziò la costruzione di acquedotti, bagni e piscine, si presero provvedimenti atti a risanare luoghi malsani, si fecero studi per scegliere i luoghi dove costruire insediamenti urbani, vennero emanate vere e proprie ingiunzioni legali al fine di moderare l’alimentazione e di evitare malattie. CELSO, ad esempio, si dilungò parecchio su questo argomento nelle sue opere evidenziando particolarmente l’importanza della dieta, della moderazione nei rapporti sessuali, della necessità di scegliere un clima conveniente e di dedicarsi all’esercizio fisico ed ai bagni. Tra gli aspetti di maggior rilievo trattati dall’igiene romana vanno ricordati l’igiene dell’acqua, quella mortuaria, quella alimentare e l’esercizio fisico.