L’ATTIVITA’ PASTORALE A LUCOLI DAI DOCUMENTI DI ANTONIO E MARIO LICO

by Amministratore
«Pane d’affranco», è la dicitura con la quale si intendeva il corrispettivo in denaro consegnato ai lavoratori in cambio del pane, il bene utilizzato come pagamento corrente.
Questo è il titolo del volume del professor Antonio Porto che la Camera di Commercio dell’Aquila ha realizzato in occasione della quarantasettesima edizione della “Rassegna degli ovini di Campo Imperatore” (2006). Ci è piaciuto riprenderne degli spunti che illustrano la vita del territorio in quegli anni e l’attività di una delle famiglie di Lucoli, quella del massaro Lico.
L’autore del libro, nel corso di un incontro casuale con il Sig. Mario Lico, scoprì che suo padre Angelomaria Lico aveva svolto la professione di massaro presso l’impresa armentizia del Sig. Giovanni Barone di Torre Bianca duca di Iesi (vendette i suoi terreni nelle Marche e si stabilì a Foggia) ed aveva lasciato una valigia piena di documenti manoscritti. I manoscritti riguardavano schede contabili utilizzate per registrare gli atti di gestione dell’azienda pastorale dal 1921 al 1968. Mario Lico, insieme al fratello Antonio furono intervistati nel 2003, il primo era della classe 1923, aveva smesso di fare il pastore nel 1950, iniziando questo lavoro all’età di nove anni; come studi, la sola seconda elementare, prendeva 30 Lire al mese. I ragazzini al seguito della transumanza si chiamavano ‘MPISCINI, portavano l’acqua e tanto altro: “quatrà piglia quello, quatrà piglia quell’atru, quatrà lava le secchie...“. 
Angelomaria Lico, nato nel 1893, massaro e compilatore delle schede, aveva frequentato solo la terza elementare, ha utilizzato il linguaggio dialettale e in questi scritti ha evidenziato anche un certo intuito amministrativo. A Lucoli c’erano cinque o sei masserie: Barone, Leone, Paoluccio di Troia, Giovanni gliu Poce, poi c’erano quelli che andavano a Roma: Turlana e D’Antonio.
Il libro al quale si fa riferimento è molto interessante sia per desumere i costi ed i ricavi derivanti dalla gestione di un gregge, attività economica che a Lucoli ha riguardato un cinquantennio e che si rivela anche utile per conoscere il contesto storico-economico dei tempi. Le annotazioni contabili di Angelomaria cessarono nel 1968 quando si ammalò e morì, gli eredi della famiglia Barone colpiti dall’attaccamento del loro massaro gli assegnarono finchè fu in vita e poi a sua moglie ed ai figli una rendita vitalizia di 50.000 Lire.
Quando si parla di gregge di pecore o di ovini, normalmente ci si riferisce ad animali ben individuati attraverso la lettura della contabilità redatta dal massaro ci si rende conto che dietro questa generalizzazione si nasconde una complessa varietà di specie. La transumanza armentizia era un’attività economica a Lucoli: il proprietario delocalizzava l’azienda (in questo caso da Foggia e viceversa) il fine era quello di abbattere i costi di gestione del gregge e di non far scendere la produzione dei prodotti caseari, nell’arco della stagione, mantenendo così uno standard di profitto.

Dalla fine dell’800, data in cui entrò in vigore la legge sul Tavoliere (26.2.1865) iniziò una forte diminuzione della consistenza delle greggi ed un fenomeno, che è ancora in atto, la transumanza dalla puglia all’Abruzzo. Il percorso che veniva fatto dalle greggi partiva da Torre bianca (Foggia) e giungeva, attraverso la dorsale montana interna, da Lucoli a Roccaraso passando per Celano, Scanno, Pettorano sul Gizio e Pescasseroli.

Stazzi a Lucoli: Morretano, Puzzillo, Valle Leona, Curti, Tericcio, Ciufolone, Campitello, Settacque
Le greggi sono tuttora portate al pascolo sulle montagne di Lucoli nella stagione estiva, provengono prevalentemente dal Lazio e dalla Puglia, oggi si sono aggiunte anche mandrie bovine ed equine. Ciò significa che il nostro territorio ha nei pascoli una risorsa appetibile per gli allevatori: i pascoli rappresentano un enorme valore economico ed ambientale e ciò nonostante la scarsa cura che gli Enti locali hanno dato a questa risorsa.   La qualità dei pascoli dovrebbe essere salvaguardata e tutelata con una politica di risanamento e di riorganizzazione, capace di stimolare la ripresa di un allevamento che produca carni sane e certificate dal marchio IGP, affinché si possa produrre ricchezza per la comunità locale. Potrebbe sembrare anacronistico che oggi, con le problematiche economiche che stiamo vivendo, tanto distanti dal mondo della pastorizia, questa attività possa essere riconsiderata non solo per salvaguardare la storia delle origini, ma soprattutto per indicare un modello di sviluppo sostenibile. La storia della transumanza a Lucoli potrebbe essere utilizzata anche in chiave di marketing, per valorizzare il territorio. 
Nei fogli contabili riportati si evince che le operazioni di gestione non sono annotate sotto l’aspetto ricavi o costi ed è per questo che non si riesce a desumere quali siano stati gli utili o le perdite del periodo in questione: il rendimento di una pecora risulta pari al suo valore di mercato, dalla quantità degli armenti si può ricavare in via approssimativa il reddito derivante dalla gestione.
La composizione del gregge dell’impresa Barone. Campo Felice immagine di uno stazzo contemporaneo (2012)

Da analisi fatte si desume che il margine di profitto di un’impresa pastorale fosse dell’8% in periodi di crisi e del 21% durante le fasi di sviluppo (J.A.Marino, l’economia pastorale nel Regno di Napoli, a cura di L. Piccioni, Napoli 1992). Gli introiti derivavano da tre fonti: lana (48%), animali-carne-pelli (33%), formaggio (20%) le spese invece, riguardavano quattro voci: salari (20%), pascoli e tasse (45%), provvigioni e investimenti (20%), spese varie (15%). Dal punto di vista del valore patrimoniale del gregge si registra un culmine di floridezza dell’impresa nel 1925-1929, la variazione più vistosa durante la seconda guerra mondiale: gli anni più duri risultano quelli dal 1944 al 1945. Per avere un’idea del valore economico dei capi di bestiame che componevano il gregge nell’intervallo 1921-1968 si riportano alcune cifre. Asino nel 1940 400 Lire e 3.220 nel 1947; Cavallo  da sella 230.000 Lire nel 1965; Mulo 25.000 Lire nel 1960; Capra 90 Lire nel 1930 e 6.000 Lire nel  1953; Vellato 1.000 Lire nel 1942 e 40.000 Lire nel 1958. La pecora generalmente non veniva venduta, solo quando era vecchia e malata, costituiva l’investimento dal quale l’azienda traeva reddito, un valore è del 1950 Lire 6.000 a capo.

I pastori svolgevano un mestiere impegnativo, senza limiti di orario, soprattutto nel periodo della transumanza, quello del pascolo montano e  nell’epoca del parto delle pecore. La loro dieta doveva essere capace di fornire alimenti in grado di fornire energia, vitalità e un po’ di euforia per combattere la fatica e lo stress. Il massaro annotava le spese per i pastori e quando i lavori diventavano stressanti la dieta si arricchiva con il vino. I ruoli delle maestranze andavanoin ordine gerarchico dal massaro (gestore dell’azienda) al casiere (chi lavorava il latte trasformandolo in formaggio), ai butteri (coloro che conducevano cavalli e muli), agli scapoli (pastori non coniugati), ai montonari (curavano i montoni), ai caprari ed ai semplici ragazzi impiegati come tuttofare. L’azienda ha avuto tra il 1921 ed il 1968 generalmente quindici dipendenti, il numero è sceso dal 1955 fino ad arrivare ai dieci nei primi anni 2000. I pastori con un alto livello di fidelizzazione erano originari del Comune di Lucoli: da ciò si desume il ruolo svolto dal Lico che vi risiedeva. Il salario dei pastori era costituito da pane, sale ed olio: dal 1921 al 1944 la quota di sale è stata pari a 1,500 kg, quella di olio a lt 1,000. I dipendenti oltre alle retribuzioni beneficiavano di altri emolumenti e premi che, probabilmente, erano corrisposti al di fuori di quelli previsti dal contratto, legati a situazioni occasionali o a prestazioni periodiche. Tra questi citiamo la “mazzetta del tratturo” che nel priodo della transumanza ammontava per il massaro a 160 Lire, per il casiere a 100 Lire per il pastore a 50 Lire per il ragazzo a 30 Lire. C’era la “sboglia” che consisteva nella pulizia della parte superiore della pecora prima della tosatura, la retribuzione era di 10 Lire a capo. C’era il “ripasso della mungitura“, una seconda mungitura serale, che ammontava a Lire 1.500 a pastore (nel 1958). Per le nascite degli agnelli veniva erogata la “figlianna” una remunerazione in natura consistente in vino. 
Tratto dal libro di Antonio Porto “Pane d’Affranco – La transumanza come politica di gestione di un’impresa armentizia: analisi contabile, socio-economica e territoriale 1921-1968” edito dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricolutura – l’Aquila.

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