Alcuni cenni di storia del territorio di Lucoli.

by Amministratore
Ricostruzione d’immaginazione del Castello di Collimento realizzata da Roberto Soldati.

Con questo testo vogliamo trattare del territorio di Lucoli e Campo Felice soprattutto negli anni compresi tra il 1100 ed il 1200. Territorio che oggi viene definito come compreso nell’AREA OMOGENEA DELLA NEVE.
L’aspetto che predomina, nell’osservare la conformazione storica del Comune di Lucoli, è senz’altro la reminiscenza di una tipologia insediativa caratterizzata sin dalle origini da abitati di dimensioni minime (i cosiddetti vicus) sparsi all’interno di un territorio comune, lontano dai confini della città romana.
Le molteplici frazioni che costituiscono il Comune di Lucoli derivano, infatti, da un insediamento che al tempo dei romani veniva identificato come pagus, una sorta di circoscrizione di tipo rurale, talvolta di origini preromane, accentrata attorno a luoghi di culto pagani. Non vi erano sostanziali differenze o gerarchie fra i diversi borghi, anche se in uno di essi risiedeva il Magister, patrizio rappresentante del governo romano.
Alcuni degli oneri di tale figura, come ad esempio quello della manutenzione delle strade, furono conservati anche dopo l‟assorbimento di tali organizzazioni in vere e proprie città. Nel caso dell’Abruzzo e, in particolare, nell’attuale ‟area omogenea della Neve”, la tipologia insediativa diffusa fu ulteriormente rafforzata dalle invasioni gotiche e longobarde, che portavano con sé la tradizione del “gau” tedesco, una sorta di contea che ebbe una diffusione talmente ampia da divenire, fra IX e X secolo, l’unità amministrativa dell’impero carolingio. Non si hanno troppe notizie di carattere amministrativo sui vicus romani dell’area di Lucoli, ma fu una forma di governo locale senz’altro tramandata nelle dinastie che si succedettero ad alterne vicende, per investitura o eredità, sotto l’egida dell’impero, del papato e dei vari regni. Persino i longobardi, che distrussero ogni centro della provincia romana, in realtà mantennero la struttura amministrativa nelle loro gastaldie e piccoli feudi.
I primi documenti scritti che ricordano il territorio di Lucoli fanno riferimento ad alcuni possedimenti dell’abbazia di Farfa e sono datati oltre l’anno mille: il Chronicon Farfense (1062-1099) e una bolla di Alessandro III del 1178. In compenso, si ha notizia nel IX secolo della costituzione della contea di Collimento, proprio durante l’avvento dell’impero di Carlo Magno, quando i castaldi della provincia Valeria furono elevati a titolo di Conti. La contea dei Marsi ebbe origine a metà dell’ottocento e, in qualità di feudo maggiore, si liberò della dipendenza dal duca di Spoleto (Barbato-Del Bufalo 1978, 16). Nel 926 Ugo d’Arles scese in Italia a cingersi della corona, il conte Berardo il Francisco ottenne dal re l’investitura comitale del paese dei Marsi, dando inizio a una dinastia di conti che perdurò circa tre secoli. 
I successori si divisero il feudo in tre contadi (quello della Marsica, quello amiterno-reatino con Forcona e quello di Valva), in seguito suddivisi ancora in tante piccole signorie prima dell’arrivo dei Normanni (Arpea 1964, 23).
Dopo che i figli del conte Berardo il Francico si divisero il feudo in tre contadi, il processo di suddivisione che ne conseguì diede origine alla costituzione, a Lucoli, della contea di Collimento (Barbato-Del Bufalo 1978, 121).
Il sistema di suddivisione in contadi favorì il perpetuarsi in tutto il comprensorio del governo di un signore locale. Laddove le popolazioni si erano dovute fortificare contro le usurpazioni dei barbari e dei prepotenti locali, si erano venuti a formare dei veri e propri “castra”, che consentirono l’infeudamento medievale e l’infittirsi della rete difensiva generata dalle primitive torri di avvistamento isolate.
Sono stati condotti degli studi sul Castello di Collimento edificato intorno al 1100 dal conte Odorisio (appartenente ad un ramo della famiglia dei conti dei Marsi) che possono darci delle informazioni interessanti sulla vita del tempo.
In quei tempi l’area di Lucoli ha avuto un vissuto storico piuttosto interessante, era governata da due importanti centri di potere: il “Castellum Colomonti” e l’abbazia benedettina di San Giovanni Battista. 
Lo scoglio roccioso che si protende in direzione nord sul torrente Rio, poco fuori le case dell’attuale Frazione di Collimento è stato identificato, almeno in parte, con Columente, noto dalle fonti farfensi come residenza di ben 79 fittuari (1). In questo luogo, che nella toponomastica attuale viene indicato come “il castello”, vennero rinvenuti frammenti ceramici e tracce evidenti di lavoro umano rappresentate dalla spianatura della roccia calcarea naturale e da una serie di sei o sette buche di palo. Questo tipo di ritrovamenti si possono riferire al periodo di vita della curtis e convivono con resti, anche consistenti, di epoca più antica. E’ stato ritrovato un muro in opera “poligonale”, che deve essere stato rilevante, che circonda il lato est dell’altura, di questo manufatto si parlò nel convegno “Sistemi fortificati preromani lungo la dorsale appenninica abruzzese”, Chieti, 11 Aprile 199. (2).
Composizione fotografica di Roberto Soldati


L’insediamento nella valle lucolana del conte Odorisio determinò senza dubbio il costituirsi di un centro di potere in qualche modo antagonista ai possedimenti farfensi. La posizione della valle si caratterizzava come area di frontiera, al confine con zone di maggiore centralità sia politica che geografica, ma l’insediamento di un potere a base locale come quello dei Collimentani fu senza dubbio un evento non circoscritto ma collegabile a dinamiche storiche di più ampio respiro. 
Nella scelta di quel luogo per la costruzione del castello giocarono senza dubbio una molteplicità di fattori. La valle di Lucoli offriva, infatti, quei vantaggi che probabilmente erano già stati apprezzati dagli antichi frequentatori di Colle Munito e di Collimento: una struttura morfologica stretta e allungata, ben difendibile attraverso due sole entrate naturali, a valle e a monte, e la possibilità di rimanere al tempo stesso collegati, tramite brevi tratti di sentieri montani e di mezza costa, ai territori circostanti. In quegli anni si verificarono le prime scorrerie dei Normanni che costrinsero i feudatari a costruire castelli per difendersi. La valle, inoltre, era strategicamente importante per il controllo che comunque esercitava sui pascoli di Campo Felice oltre che per un avviato sfruttamento silvo-pastorale, beni di cui godevano evidentemente le terre della curtis farfense e che per questo erano stati per lungo tempo al centro di così tante dispute. 
Il conte Odorisio volle, poi, stabilire un potere personale in un’area limitata ma economicamente ben avviata e in cui da anni il controllo e l’influenza dei grandi monasteri erano messe costantemente in discussione. Cercò quindi di impiantare un centro di potere alternativo attraverso una condotta politica sufficientemente accorta: in sostanza “capì che una qualsiasi politica di potenza non poteva in quel momento contrapporsi alla politica religioso-monastica, ma doveva passare esclusivamente per essa” (3). Il conte Odorisio fondò così ex novo l’abbazia di San Giovanni Battista, attuando una pratica che si diffondeva nel tempo: le signorie rurali attuarono una duplice politica nei confronti del potere monastico, da un lato si adoperarono per non entrarci in conflitto, continuando la pratica delle donazioni, dall’altro escogitarono il modo di non perdere il controllo sui territori tramite la fondazione di nuove abbazie, istituendo cioè nuove comunità religiose indipendenti dalle grandi abbazie e dallo stesso potere dei vescovi.
Veduta aerea della Frazione di Collimento – Foto di Roberto Soldati
Per quel che riguarda la fase della costruzione del castello le fonti sono sostanzialmente concordi nel definire il 1077 come terminus ante quem. Dalla donazione di Odorisio si evince infatti l’esistenza del castello e di tutte le sue pertinenze, compresi i vari servi e dipendenti. Nonostante questa documentazione storica l’aspetto che più ha colpito gli studiosi relativamente al sito del ‘castello’ è l’assenza di strutture medievali visibili. Non è stato possibile eseguire letture stratigrafiche degli elevati così come non è stato possibile delineare anche solo uno schizzo del suo profilo o dei corpi di fabbrica di cui fosse composto. Anche per la totale mancanza, nella documentazione cartacea, del benché minimo accenno all’aspetto del castello, per non citare la totale assenza di fonti iconografiche anche tarde. Il controllo del territorio risultò sostanzialmente di vita breve e travagliata. Il fallimento è da intendersi nell’ottica laica del controllo di lunga durata del Lucolano. È probabile che, ad una tale precarietà del potere, facesse da specchio una relativa modestia delle strutture castellane, di cui infatti, in superficie, non rimangono tracce tangibili. A questa considerazione vanno aggiunti altri due fattori: la possibilità che le strutture medievali forse non eccessivamente monumentali siano state smontate e riutilizzate in epoche successive come cave di materiali per il borgo sottostante; e che le ridotte dimensioni del castello di Odorisio (per altro confermate dalle dimensioni dello sperone roccioso) si riferiscano piuttosto ad un ridotto difensivo fisicamente staccato dall’insediamento vero e proprio. 
Purtroppo il paese attuale, che fino alla metà del secolo scorso conservava intatte molte delle sue vie e abitazioni in pietra a vista, come molti nella valle di Lucoli e in generale nei territori circostanti, ha subito pesanti restauri e nuove costruzioni a partire dagli anni sessanta del secolo scorso che ne hanno obliterato irrimediabilmente l’aspetto originario.
È difficile seguire le sorti della discendenza di Odorisio attraverso la scarsa documentazione rimasta, sebbene il documento del 1077 citi esplicitamente dei figli. Le varie ricostruzioni della genealogia dei Collimentani non sempre sembrano coincidere con le parentele espresse in alcuni documenti (4). Sebbene sia chiaro che Collimento darà il nome a tutti i futuri discendenti del conte per moltissime generazioni, è ragionevole comunque ipotizzare che i suoi diretti eredi quasi sicuramente non risiedessero più nel castello, sebbene continuassero ad esercitare una sorta di patronato sull’abbazia di San Giovanni. Nel 1126 infatti un certo Teodino Sancti Bictorini forse al tempo conte di Amiterno, presenziò alla donazione di un mulino sito in località Adunale a pro del monastero di Collimento da parte del presbitero Pagano e suo fratello Gualtiero. L’abbazia dunque continuava ad espandere i suoi possedimenti.
Fra il 1158-1168, risulta che Colimenti e Luci (Lucoli) sono per metà posseduti da un certo Benegnata figlio di Garsenio, feudatario di Gentile Vetulo. I Collimentani invece sembrano essersi ritagliati altre sfere di influenza se Todinus de Colimento possiede Ocre con altri feudi e Berardus de Colimento, suo consanguineo, possiede Stiffe, Rocca Cedici e Barile. Dopo la distruzione di Amiterno e di Forcona da parte di Federico II, il Castello di Lucoli con la sua contea e la sua abbazia fu considerato il più importante tra quelli soggetti allo Stato Pontificio (Murri 1983, 10; Chiappini 1941, 42. Nel 1229 I fiscalismi eccessivi indussero il popolo di Amiterno e di Forcona a fare ricorso al papa Gregorio IX in richiesta d‟aiuto. Il Pontefice, commosso, esortò gli oppressi a riunirsi e a fondare una città indipendente «ad locum Acculae» (Rivera G. 1906, 232-233 n. 411; Barbato-Del Bufalo 1978, 21). Con essa, pur rimanendo soggetti ai tributi imposti dal Conte di nomina regia (prestazioni feudali destinate al conte e “collette” destinate al Re), i piccoli comuni potevano dipendere da un Comune maggiore conservando un limitato potere politicoamministrativo, consistente nella libera elezione del podestà e dei consiglieri e nella facoltà di assumere provvedimenti di carattere economico e religioso (Murri 1983, 11).
Più avanti il podestà si chiamò Sindaco e i sottoposti furono detti maestri, giudici, massari, baiuli.
Nel 1581 Lucoli e le sue ville furono vendute alla famiglia Colonna di Roma. Il primo feudatario fu Marzio Colonna, duca di Zagarolo, che ebbe nove figli da Giulia Sciarra Colonna dei Signori di Palestrina e morì nel 1607. Il primogenito Pierfrancesco nel 1610 dovette vendere la proprietà al napoletano Marcantonio Palma, duca di S. Elia, per via dei debiti del baronato del padre. Ma più tardi la riacquisì suo figlio Pompeo. Intorno al 1635 Pompeo Colonna, figlio di Pierfrancesco, riacquisì il feudo che era stato alienato da suo padre. Il ramo dei Colonnesi di Zagarolo si estinse e i beni di Lucoli furono reincamerati dal Regia Corte (Murri 1972, 27-28). Messi all’asta dalla R. Corte per l’estinzione della stirpe, i beni devoluti da Pompeo Colonna di Gallicano e Duca di Zagarolo furono acquisiti per 200.000 ducati da Maffeo Barberini di Sciarra, principe di Palestrina, con atto siglato dal notaio Matteo Angelo Sparano e da Mons. Attilio Marcellini procuratore speciale del Principe Barberini, poi ratificato dal re Filippo IV con privilegio datato 5 maggio 1663 (Arpea 1999, 118).
Così, nel 1663 il principe Maffeo Barberini entrò ufficialmente in possesso dei compartimenti acquisiti, tra i quali figuravano:
  • Lucoli (con 14 ville di Lucoli e 5 di Roio) 
  • Cicolano (con 12 ville) 
  • Tornimparte (con diverse ville, Rocca Santo Stefano e Sassa) 
  • Roccadimezzo (con Roccadicambio e Terranera) 
  • Fontavignone, Fosse, Sant’Eusanio e Casentino (Arpea 1964, 158). 
Dal 1663 i Barberini governarono il feudo oltre un secolo e mezzo, anche per conto del Regno degli Asburgo (dopo il 1807, abolito il feudalesimo, rimasero pacifici possessori dei beni burgensatici in Rocca di Mezzo) (Arpea 1964, 104; Cifani 1982, 98). 1806, agosto
Prima restaurazione borbonica. La riorganizzazione territoriale messa in atto dalla prima restaurazione borbonica abolì i poteri feudali e impose un nuovo ordine amministrativo sui centri dell’Altopiano e di tutto l’Abruzzo. Prima dell’abolizione dei feudi, l’ultimo procuratore dei Principi Barberini fu Alessandro de Sanctis di Terranera, in carica dal 2 febbraio 1796 (Arpea 1999, 120).
Quando nel 1806 furono aboliti i poteri feudali e la prima restaurazione borbonica impose una riorganizzazione del territorio, la città dell’Aquila si vide organizzata in quattro Distretti, a loro volta divisi in circondari. L’Altipiano fu suddiviso fra il circondario di San Demetrio (comprendente le Rocche) e il circondario di Celano (a cui fecero capo Ovindoli, San Potito e Santa Iona), ma a Lucoli si continuò a valorizzare la caratteristica dell’insediamento diffuso, mediante il rafforzamento della sua qualità di villaggi sparsi (denominati appunto “Ville”), piuttosto che di Comune (ad oggi sembra non essere cambiato nulla…..). Bisogna ammettere, tuttavia, che, nonostante la spinta riorganizzativa del periodo napoleonico, l’attuale “area della Neve” fu mantenuta ancora in condizioni di pessima accessibilità per meglio assicurare la difesa del Regno, con il solo asse di attraversamento della via Alba-Amiterno. Una nuova strada carrabile attraversante le Rocche per congiungere L’Aquila alla Marsica fu decretata dal governo Murat nel 1814, ma rimase incompiuta fino al 1855.
Dalla fine dell’Ottocento, la costruzione delle nuove arterie carrabili fu ultimata nel secondo dopoguerra, accompagnata sempre da grandi ristrettezze e difficoltà logistiche.
Nel 1927 con decreto del 9 luglio 1927 il Comune dell’Aquila, che abbracciava un’area di 144 kmq, fu esteso con l’aggregazione totale o parziale dei territori dei Comuni vicini di: Arischia, Bagno, Camarda, Lucoli, Paganica, Preturo, Roio Piano, Sassa e della frazione San Vittorino del Comune di Pizzoli (Merlo 1942). Lucoli fu aggregato quindi all’Aquila come frazione e perse la sua autonomia comunale. 
Lucoli ritornò ad essere Comune autonomo nel 1947.

L’articolo è liberamente tratto dal volume “Ricostruzione dei territori” scritto da un gruppo di ricerca della Sapienza edito da Alinea Editore – Firenze.
Bibliografia:
(1) Riferimento elenco di servi e fittuari di Farfa costituisce il primo documento in cui compaiono toponimi del Lucolano, Ch. Farf., I, Rif. 265.
(2) Il circuito in opera ‘poligonale’ è stato censito nel 1966 da La Regina e Di Marco, E. MATTIOCCO, Sistemi fortificati preromani lungo la dorsale appenninica abruzzese, in Insediamenti fortificati in area centro-italica, Atti del convegno, Chieti, 11 Aprile 1991, a cura di R. PAPI, Pescara 1995, p. 39. Simonetta Segenni interpretò la cinta di Collimento come di epoca romana, come sostruzione per un santuario o per una villa.
(3) Clementi a proposito del conte di Penne Bernardo e della fondazione della Badia di Picciano, caso che analogo a quello lucolano, CLEMENTI 1996, p. 57.
(4) CHIAPPINI 1952 (nota 3), pp. 12-14, RIVERA 1902 (nota 3), p. 4 e A. SENNIS, Potere centrale e forze locali in un territorio di frontiera: la Marsica tra i secoli VII e XII, in Bullettino dell’Istituito Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, Roma, 1994.

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2 comments

marcello 12 Aprile 2013 - 13:33

Complimenti per l'articolo.
Marcello Iannini

Reply
amministratore 12 Aprile 2013 - 16:00

Grazie dell'apprezzamento Marcello.
La nostra Associazione si sforza di lavorare sui "beni comuni" in questo caso "intangibili" quali la cultura e la storia di un territorio.
Non inventiamo nulla: recuperiamo, riscopriamo, approfondiamo, riassembliamo in sintesi e traduciamo in linguaggio riattualizzato.
Pensiamo ai giovani "internauti" del territorio ed a tutti coloro che debbono imparare ad essere orgogliosi delle proprie radici, anche storiche.
Così di tanto in tanto questo blog diviene "didattico" ed abbiamo scoperto, controllando gli accessi ed i commenti che riceviamo, che oltre a diffondere notizie a 360° su Lucoli fornisce degli strumenti utili a colmare quello scollamento che spesso si avverte  tra mondo della scuola e dello studio e mondo esterno, quello della gente comune.
E' un impegno piacevole che asseconda le vocazioni all'approfondimento ed allo studio di alcuni nostri soci.
Ciao

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