La parola reliquia, dal latino “reliquiae”, resto, residuo, traccia, secondo il dizionario indica, “ciò che rimane di qualcosa o di qualcuno, del corpo, delle vesti o degli oggetti, appartenuti ad un santo o ad un beato come qualcosa di estremamente prezioso”.
Il culto delle reliquie, anche se non esclusivo della religione cristiana, trova in questa la sua massima espressione. E’ una questione molto controversa nell’ambito della stessa religione fra una parte dei fedeli che si dichiara apertamente a favore e continua tuttora a praticarlo ed un’altra che vede nel culto delle reliquie una sorta di feticismo bigotto che difficilmente trova spazio in questa nostra società dove tutto passa attraverso la logica e la ragione. Chi venera le reliquie è spesso considerato un ingenuo “credulone”, soprattutto quando parliamo di quelle “impossibili” o “fantastiche”, o accusato di attribuire alle reliquie un valore maggiore del messaggio religioso in sé. E’ tuttavia innegabile che per un collettivo molto grande di credenti, la loro venerazione, è una componente importante della loro fede ed espressione della stessa. In ogni caso, la storia ci insegna che il culto delle reliquie non ha mai fatto distinzioni fra ricchi e poveri, nobili o plebei, anche se le motivazioni non necessariamente coincidevano.
La reliquia della Beata Cristina ritornerà a Lucoli, nell’Abbazia di San Giovanni Battista il 16 agosto 2013.
Abbiamo già scritto, nelle pagine di questo blog, della sua storia e dell’importanza della sua devozione per la comunità locale.
La Beata appartiene alla famiglia della santità agostiniana: era una monaca che visse nel tempo in cui fatti mistici e rapimenti d’estasi caratterizzavano la santità dell’epoca.
La prima biografia sulla sua vicenda terrena venne scritta da un nobile aquilano, Giampietro Interverj, intorno al 1595, 52 anni dopo la morte di Cristina. Ma quest’opera manoscritta divenne irreperibile. Ne comparve un’altra a Colonia, in Germania, stampata in latino e firmata da Cornelius Curtius, un dotto agostiniano belga, storico dell’ordine a cui apparteneva.
Il suo nome, al secolo, era Mattia e nacque nel 1480 (probabilmente il 24 febbraio, giorno dedicato a San Mattia) a Colle di Lucoli. Si scrisse di lei che non era attratta dai normali giochi di quell’età (noci, bambole…), spesso si soffermava sulle immagini sacre: «Se ne vedeva qualcuna in mano ad altri, eccola subito a salutarla col sorriso degli occhi; se la teneva tra le sue mani, la ricopriva di baci incessanti», questo si legge nella biografia di Cornelius Curtius. Trascorreva il tempo a pregare in casa, in una stanza appartata, dove il padre aveva posto un’immagine della Vergine Maria con il Cristo. Molto bella d’aspetto, non vantava tale sua dote, respingendo ogni eleganza nel vestire. La bellezza a lei sembrava un ostacolo per il suo avvicinamento a Dio: non voleva insomma piacere agli altri per piacere soltanto al Signore, perciò brigò tanto per diventare più brutta: non si lavava, digiunava e lavorava come le serve, ma con risultati negativi, perciò chiese l’intercessione della Madonna «ed allora una bruttezza repentina sfigurò Mattia, al punto che l’avresti detta tratta fuori dal sepolcro, pallida come un cadavere». Aveva 25 anni quando si fece monaca. Nel 1505 prese perciò il nome di Cristina per essere più in affinità con il suo Sposo e ricevette l’abito monacale dell’ordine di Sant’Agostino. Morì il 18 gennaio del 1543 all’età di 63 anni. La sua salma, per richiesta popolare, fu esposta al pubblico e da allora iniziò un lungo elenco di miracoli e grazie post mortem: “cura una piaga di un legnaiolo, guarisce da due ferite mortali un ufficiale giudiziario, rende la vista ad un cieco, raddrizza uno storpio, guarisce un domenicano alla gamba e all’omero, risana un femore ad un francescano e libera una monaca da una terribile emicrania”. Conclude Cornelius Curtius: «Aggiungerei altri casi, se non fossero tali da poter arrecare noia al lettore, per la somiglianza che hanno tra loro. Sono sufficientemente valide queste testimonianze, che dimostrano che Cristina vive tra i celesti vita immortale, non immemore dei mortali».
Ma qual’è il senso del suo culto nella Lucoli di oggi?
La devozione nei confronti della Beata Cristina, trattando il concetto in modo laico, rientra anche nei temi dell’identità dei luoghi, della tradizione e della memoria, è nell’“anima di Lucoli come luogo” è nel sentimento del territorio, nella sua “storicità”. Il suo culto rappresenta una forma di affettività ed uno dei legami complessi, controversi, mutevoli che si sono stabiliti a Lucoli.
Il “luogo” Lucoli è tale soltanto perché vi sono delle persone, degli individui che lo considerano il loro luogo, perché delle persone o dei gruppi lo abitano, lo popolano, lo vivono, lo modificano interagendo con esso. Il luogo è anche le immagini di esso ereditate ed il culto della Beata si è tramandato in modo forte fino alle odierne generazioni che potremmo forse delimitare con i quarantenni.
Sarebbe interessante capire quanto di questo vissuto sia presente nelle nuove generazioni, quanto sia reale il rischio di perdita di questa memoria, causato dall’arrivo di nuovi modelli, dall’erosione della consapevolezza delle radici.
Sarebbe interessante capire quanto di questo vissuto sia presente nelle nuove generazioni, quanto sia reale il rischio di perdita di questa memoria, causato dall’arrivo di nuovi modelli, dall’erosione della consapevolezza delle radici.
La Lucoli di oggi non è più il paese del passato.
Il «paese presepe» (l’immagine è ricorrente nella letteratura meridionale e meridionalistica) come luogo antropologico, anche se non come spazio abitativo, è scomparso per sempre. Si è frantumato in mille schegge. È esploso. Con il terremoto del 2009 poi, si è aperto, si è scomposto e chissà se si ricomporrà…..
La sintomaticità forte si percepisce nell’inverno quando i luoghi come Lucoli annaspano tra la vita e la morte, tra passività e azione, tra delusione e speranza. Diventando un “non luogo” che a nostro parere va invece rifondato, riguardato, riguadagnato.
La sintomaticità forte si percepisce nell’inverno quando i luoghi come Lucoli annaspano tra la vita e la morte, tra passività e azione, tra delusione e speranza. Diventando un “non luogo” che a nostro parere va invece rifondato, riguardato, riguadagnato.
Analogamente, anche il senso di appartenenza (oltre che della memoria), sia di quelli che sono rimasti, sia di quelli che sono partiti è profondamente mutato, ma la devozione alla Beata Cristina è presente, tanto da alimentare la consapevolezza che se a Lucoli c’è stata una sola vittima per il sisma del 2009 è stato grazie a Lei che veglia sull’intera comunità e sulle case, tanto che non ne sono crollate, come invece è accaduto all’Aquila ad Onna o a Roio ad esempio. Il terremoto ha accelerato l’opera di desacralizzazione dei luoghi come Lucoli, li ha portati a dissolversi come centri e come punto di riferimento, come reticoli di relazioni e di storie anche perché li ha privati della loro gente, ma non c’è riuscito con il culto della Beata Cristina la cui immagine in formato gigante fu fatta affiggere dal Parroco sulle mura delle case danneggiate dal sisma per vegliarle e proteggerle anche dopo la forte scossa del 6 aprile.
I borghi delle Frazioni di Lucoli stentano ad essere ricostruiti e sarà per questo motivo che dal Colle, dai componenti del Comitato che si occupava di organizzare ogni anno la festa in memoria della Beata e dalla Parrocchia è partita l’idea del pellegrinaggio delle sue reliquie verso i luoghi natali?
La Beata Cristina ritornerà a Lucoli per la terza volta, in 80 anni circa, ed il corteo con la sua reliquia stazionerà per qualche minuto nella Frazione del Colle di fronte alla casa ove nacque, in quella tra le Frazioni di Lucoli che è stata maggiormente danneggiata dal terremoto e dove impera il silenzio.
Con l’attenzione dei cronisti, con rispetto e devozione, abbiamo voluto scrivere dell’evento spirituale che si realizzerà a Lucoli e vogliamo concludere questo testo pubblicando il sonetto che Michele Palumbo dedicò alla Beata, per leggerlo insieme quasi come una preghiera.
PER LA BEATA CRISTINA
Ecco la gloria della patria nostra
Ecco Cristina di virtude esempio
Eccola sull’altar del nostro tempio
Quanta pietà negli occhi suoi dimostra!
L’ostia sacrata che nel petto mostra
Io miro, e di stupor sacro già m’empio:
Dinanzi a Lei anche il superbo e l’empio
Dal soverchio splendor vinto si prostra.
Con le spine di Cristo incoronata
Fu allor, che per pietà del suo Fattore,
Ebbe la faccia il sole scolorata.
Così serbando immacolato il core
Imparò dalla Madre addolorata
Che col patir s’ottiene il sommo amore.
Michele Palumbo, nacque a Lucoli Alto l’8 aprile del 1811, scrisse questo sonetto ed altre opere per la Beata Cristina da Lucoli.
I versi che testimoniano la sua devozione a Cristina furono raccolti da Francesco Di Gregorio nel libro: “Memorie Poetiche” edito da L.U. Japadre (AQ). Il Palumbo, negli ultimi anni della sua vita, malato e ritiratosi a vivere nell’Abbazia di San Giovanni Battista, rivolgeva le sue preghiere non solo a Dio ed a Maria ma anche ai Santi per trovare pace al suo cuore e per mostrarli ed additarli come esempi di bontà, di carità e di pietà cristiana.
I versi che testimoniano la sua devozione a Cristina furono raccolti da Francesco Di Gregorio nel libro: “Memorie Poetiche” edito da L.U. Japadre (AQ). Il Palumbo, negli ultimi anni della sua vita, malato e ritiratosi a vivere nell’Abbazia di San Giovanni Battista, rivolgeva le sue preghiere non solo a Dio ed a Maria ma anche ai Santi per trovare pace al suo cuore e per mostrarli ed additarli come esempi di bontà, di carità e di pietà cristiana.
Foto dei ricordi della comunità di Lucoli: la reliquia della Beata Cristina viene portata per le vie del paese |
Bibliografia:
ANTINORI, A., Vita della Beata Cristina da L’Aquila, Roma 1740; Sacra Rituum Congregatione. Aquilana super approbatione cultus praestiti B. Christinae a Lucolis, Romae 1839; CREMONA, C., La b. C. de L’Aquila, agostiniana, Roma 1943; DURANTE, M., La stella di Lucoli. Breve vita della b. C. da Lucoli, L’Aquila 1943; FALCIONI, D., OSA. Beata Cristina da L’Aquila, beata, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1950, 915; CURTIS, C., OSA., Vita della Beata Cristina da L’Aquila. L’Operetta fu stampata a Colonia nel 1636, L’Aquila 1991; ID., Beatae Christianae vita. Testo latino – traduzione a fronte. A cura di Antonio Cordeschi, L’Aquila 1993.