Museo di Ellis Island i volti degli emigrati |
Dal 1876 alla Grande Guerra gli espatri sono stati oltre 14 milioni. Nei primi dieci anni la maggioranza partì verso l’Europa, dal 1886 prevalsero le Americhe, soprattutto quella meridionale (Argentina e Brasile) dove si diresse il 23% degli emigrati italiani: nel 1905 a Buenos Aires risiedevano già 250 mila italiani; nella città di San Paolo su 260 mila abitanti circa metà (112.000) erano italiani. Alla predominanza iniziale dell’Argentina fa seguito la crescente rilevanza del Brasile, dove la fine della schiavitù (1888) ebbe un ruolo importante.
All’inizio del XX secolo, a causa delle crisi economiche locali, il movimento decresce progressivamente al Sud e aumenta nel Nord America. L’emigrazione di lavoro negli USA si intensifica, infatti, a partire dal 1870. Nel 1881 entrarono negli USA 11 mila italiani. Dopo il 1885 la media del decennio fino al 1895 fu di 35 mila entrate l’anno. Nel decennio 1896-1905 la media annua fu di 130 mila entrate (nel 1901 superano, per la prima volta, le 100 mila unità; nel 1905 raggiungono le 300 mila e toccano l’apice di 376 mila nel 1913).
Dopo il 1901, anno in cui espatriarono mediamente 500.000 italiani, quattro partenze su dieci si diressero verso gli Stati Uniti. Qui, gli emigrati si concentrarono nelle zone attigue agli sbarchi (New York, Boston, Philadelphia e New Orleans) e poi si dirigevano verso grandi centri industriali e ferroviari come Chicago e San Francisco nell’Ovest. La presenza italiana rimase particolarmente numerosa negli stati della costa (New York, New Jersey, Pennsylvania, Rhode Island, Massachusetts). Lo sviluppo delle Little Italies privilegiò soprattutto i mestieri funzionali allo stesso insediamento come negozi, ristoranti, panifici, pizzerie.
L’emigrazione è un mestiere che gli abruzzesi hanno praticato per secoli: prima, quando l’economia della regione era basata sulla pastorizia, con la forma del duro pendolarismo stagionale della Transumanza verso i pascoli pugliesi; poi, con il lavoro di manovalanza a Roma; infine con la partenza che, diretta verso le terre d’oltreoceano e il Nordeuropa, assunse forme definitive in una corsa che, quanto ad espatri, ha coinvolto oltre un milione e 300 mila corregionali che, con i loro discendenti, ora formano il grande polmone culturale degli abruzzesi all’estero.
Ellis Island migranti da rifocillare |
Vorremmo fotografare, inserite nello scenario storico, piccole tracce di persone originarie di Lucoli per ricordarle a distanza di decenni dal trauma emigratorio. Non vogliamo far dimenticare ai giovani di oggi, che questi esodi migratori, questa emorragia di abruzzesi dispersi nei paesi lontani, sono stati il risultato di una grande violenza storica: ancora vivo nella memoria di alcune famiglie lucolane. Anche a distanza di quattro generazioni, il significato ed i risvolti di quella che fu definita “un’emigrazione a mandrie, deliberata, di chi si vide morire la terra tra le mani” (Massimo Lelj) sono importanti nella storia di una famiglia per formare i figli: perché non dimentichino che ciò che oggi hanno è anche il frutto di tanta sofferenza.
Partenze, speranze, illusioni e inganni, gli “agenti d’emigrazione” furono grandi attori in questa tragedia: «Il Regno di Napoli è finito. Il regno di queste genti senza speranza non è di questa terra. L’altro mondo è l’America, che ha per i contadini una doppia natura. È terra dove si va a lavorare, dove si suda e si fatica, dove il poco danaro è risparmiato con mille stenti e privazioni, dove qualche volta si muore e nessuno più si ricorda; ma nello stesso tempo è, senza contraddizione, il paradiso, la terra promessa del regno» (Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli).
Spinti dalla miseria e dalla speranza di un futuro migliore, ma vittime dell’ignoranza e dell’analfabetismo, molti emigrati italiani sono stati facili prede di sfruttatori, «la cui propaganda – con le parole dello scalabriniano Pietro Maldotti che al porto di Genova opera per sventare le trame degli agenti d’emigrazione – è implacabile e irrefrenabilmente scandalosa tanto da promettere ricchezze straordinarie e fortune colossali a quanti si dirigono in America, dove le strade sono coperte d’oro e si mangia a sazietà».
Chissà se Cesare Soldati, Beniamino Giannone, Giulio Pietrogiacomo e Paolo Falasca i cui nomi compaiono in documenti di imbarco per l’America nell’anno 1913 erano stati attratti dalle stesse chimere, forse no, perché alcuni di loro ritornarono presto a casa, tranne Cesare che morì nel 1920 a Pittsburgh.
La gente di Lucoli abituata a vivere dentro un ambiente di montagna, era temprata a svolgere lavori bracciantili quasi sempre realizzati in condizioni estremamente difficili, dimostrava una disponibilità singolare a rischiare, a spingersi verso e oltre i limiti. Si trattava di una sorta di filo rosso che collegava ad esempio le esperienze dei pesanti lavori nelle paludi laziali, la vita ingrata dei pastori, il lavoro nelle miniere (si pensi al disastro di Marcinelle), la scelta di luoghi lontanissimi come le Americhe. I nostri parenti hanno vissuto delle avventure esistenziali, fatte di vite vendute ma anche di sfide orgogliose nei confronti dell’ignoto.
Cesare Soldati, Beniamino Giannone, Giulio Pietrogiacomo e Paolo Falasca del Colle fecero un viaggio transoceanico partendo dal porto di Napoli arrivando ad Amburgo e ripartendo il 6 giugno 1913 alla volta di New York proprio verso il famoso porto di Ellis Island.
Foglio di registrazione di arrivo del 6 giugno 1913 di Cesare Soldati, Beniamino Giannone, Giulio Pietrogiacomo e Paolo Falasca |
Il viaggio del migrante non era semplice. Nel porto di partenza venivano sottoposti a visita medica e i loro bagagli “bonificati”. Le compagnie di navigazione hanno utilizzato il trasporto dei migranti come volano per il passaggio della marina da una fase pre-industriale a una moderna. Il grande traffico verso il Nord America fu realizzato soprattutto dalle compagnie straniere, più organizzate e tecnologicamente avanzate. Naturalmente, al trasporto dei migranti erano assegnate le carrette del mare, con in media più di venti anni di navigazione. Possiamo definirli piroscafi in disarmo, chiamati “vascelli della morte”, che non potevano contenere più di 700 persone, ma ne caricavano più di 1.000, che partivano senza la certezza di arrivare a destinazione. La gente in genere veniva stivata in terza classe, in condizioni pietose e prive di igiene. In fondo non si trattava che di “tonnellata umana”, così come veniva chiamato il carico umano degli emigranti che «accovacciati sulla coperta, presso le scale, col piatto tra le gambe e il pezzo di pane fra i piedi, mangiavano il loro pasto come i poverelli alle porte dei conventi. È un avvilimento dal lato morale e un pericolo da quello igienico, perché ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di piroscafo sballottato dal mare, sulla quale si rovesciavano tutte le immondizie volontarie e involontarie di quelle popolazioni viaggianti» (Teodorico Rosati, ispettore sanitario sulle navi degli emigranti,1908). Per dormire, «l’emigrante si sdraia vestito e calzato sul letto, ne fa deposito di fagotti e valigie, i bambini vi lasciano orine e feci; i più vi vomitano; tutti, in una maniera o nell’altra, l’hanno ridotto, dopo qualche giorno, in una cuccia da cane. A viaggio compiuto, quando non lo si cambia, ciò che accade spesso, è lì come fu lasciato, con sudiciume e insetti, pronto a ricevere il nuovo partente».(Teodorico Rosati, ispettore sanitario sulle navi degli emigranti, 1908).
In tali condizioni, contrarre una malattia era frequente basti dire che le navi per emigranti, per tutto l’Ottocento, mancavano di infermerie, ambulatori e farmacie, tanto che, tra il 1897 e il 1899, più dell’1% degli arrivati a New York venne respinto in Italia perché ridotto in cattivo stato dai disagi e dalle sofferenze del viaggio.
Le persone di cui parliamo arrivarono ad Ellis Island e ricevettero la visita medica, una volta superata entrarono nella grande sala di registrazione, per espletare quelle attività formali che ci hanno permesso, oggi, di ritrovare le loro tracce. Chi non passava la visita veniva messo in quarantena nell’ospedale locale, al termine della quale ricevevano il nulla osta per entrare negli Stati Uniti, tranne nel caso di infermità particolari (zoppi, gobbi, menomati, con malattie degli occhi o della pelle o con difetti psichici), per le quali erano costretti a tornare in patria. Le donne sole, anche se fidanzate, non potevano essere ammesse e dovevano celebrare un matrimonio a Ellis Island. I minorenni soli dovevano trovare i garanti e gli orfani dovevano essere adottati, altrimenti venivano respinti.
Nel 1931, Edoardo Corsi, nominato direttore di Ellis Island dove lui stesso era sbarcato nel 1907, affermava: «Le nostre leggi sul rimpatrio sono inesorabili e in molti casi disumane, particolarmente quando si riferiscono a uomini e donne dal comportamento onesto il cui unico crimine consiste nel fatto che hanno osato entrare nella terra promessa senza conformarsi alla legge. Ho visto centinaia di persone del genere costrette a ritornare nei paesi di provenienza, senza soldi e a volte senza giacche sulle spalle. Ho visto famiglie separate, che non si erano mai riunite: madri separate dai loro figli, mariti dalle loro mogli, e nessuno negli Stati Uniti, nemmeno il Presidente in persona, poteva evitarlo».
Anche Ferdinando Soldati (registrato come Ferdinand), fratello di Cesare fece lo stesso percorso viaggiando sul mitico Lusitania (transatlantico che fu affondato da un altrettanto mitico U20, U-boot, durante la prima guerra mondiale), si recò in America, sei mesi dopo la partenza dei compaesani del Colle, per visitare il suo congiunto che lavorava come carpentiere.
L’elenco degli imbarcati sul Lusitania ed il nome di Ferdinando Soldati |
L’immagine del Lusitania transatlantico britannico in servizio agli inizi del XX secolo, di proprietà della Cunard Line fu affondato nel 1915 dal sommergibile tedesco U-20. |
Cesare Soldati, fratello di Pietro e Ferdinando -Credits: archivio fotografico famiglia Soldati |
Ferdinando Soldati ritratto nel cimitero di Pittsburgh al cospetto della tomba di Cesare Soldati – Credits: archivio fotografico famiglia Soldati |
Quanto riportato nel presente post è tratto dai ricordi di famiglia, dalla documentazione del Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana e dal sito http://www.ellisisland.org ove sono stati censiti tutti gli emigranti sbarcati ad Ellis Island, (New York).
Si suggerisce la visita al Museo dell’Emigrazione Nino Di Paolo a Cansano. Il Museo dell’Emigrazione sorge a Cansano, in provincia dell’Aquila. La struttura è stata aperta nel 2004 per iniziativa del generale Nino Di Paolo, che da tempo coltivava il progetto, anticipato dalla pubblicazione di un libro (Emigrazione: da Ellis Island ai giorni nostri, Edizioni del Paguro, 2001) e dall’organizzazione di una mostra. L’idea gli era stata ispirata da una visita a Ellis Island, nella baia di New York, dove erano sbarcati i suoi nonni.
1 comment
Ho visto ad agosto 2013 una mostra sull'emigrazione italiana molto completa (per quanto riguarda il Nord America). Era a Cansano (AQ), non lontana da Sulmona, ed è stata allestita nel Centro Culturale da un alto esponente della Guardia di Finanza. Si esce pieni di informazioni ma, certo, con tante lacrime agli occhi. Ci sembra brutale il trattamento dei "democratici" USA: ad esempio gente marcata con un croce di gesso perché non ammessa. Teniamolo ben presente oggi perché, per ora, siamo quelli che ricevono migranti. I venti del benessere, però, cambiano facilmente.
Beti Piotto