La più elevata delle montagne di Roio è la còsta rànne, che si eleva a sudest di Poggio fino ai confini con Lucoli e Bagno. Possiede lo stesso nome che a Lucoli è attribuito al Monte (di Roio). Viceversa, questa montagna a Lucoli non ha un nome definito, perché da quel versante si presenta come una semplice elevazione che fa da contorno alla più elevata Serralunga. La cartografia IGM riporta il toponimo Costa Grande che, si compone della voce costa ‘pendio’, con l’aggettivo grande.
L’antica via di salita alle quote più elevate della Costa Grande passa per il pianoro di Campoli. Può essere imboccata anche dalla carrareccia della Via del Monte, più o meno all’altezza della località Noce. Da queste parti scende, solcando il ripido costone, il fùssu sfonnàtu. Questo nome vale, letteralmente, ‘fosso senza fondo’, forse per il fatto che l’impluvio è completamente impraticabile, e quindi come se, per gli usi della pastorizia, non avesse fondo.
Nell’altopiano seminascosto di Campoli tra due catene di montagne, cento anni fa e fino agli anni ’60, durante i mesi estivi, intere famiglie di contadini e pastori di alcune frazioni lucolane seminavano grano e patate mentre le greggi pascolavano ai lati della vallata, e la sera fornivano latte per ottimo formaggio. Renato Giardini del Colle ancora studente delle elementari, di otto anni, ci andava a lavorare la mattina: partiva dal Colle alle 4.30/5 legato sulla groppa di un asino ed impiegava 90 minuti per attivare a Campoli dove lo aspettava il pastore Vittorio (che si chiamava Colangeli di cognome) e lui lo aiutava a tenere ferme le pecore per essere munte e fatto il suo lavoro andava a scuola.
La paga settimanale era di 20 Lire somma giusta per comprarsi il giornaletto di Capitan Miki. Il pastore “Vettorio” morì negli anni ’70 e da allora in poi sembra che nessuno abbia soggiornato più o meno stabilmente agli stazi delle case “Michetti” in estate.
Vittorio Colangeli uno degli ultimi pastori |
Oggi rimangono due serie di costruzioni, una: sul crinale ovest della valle, ridotta ormai a un cumulo di macerie, l’altra costituita da un nucleo abitativo più grande e meglio conservato è situato nella piana vicino ad un pozzo artesiano con annesso abbeveratoio.
E’ un posto “incantato” per amanti dei suoni della montagna e del silenzio, oggi vi pascolano cavalli e mucche, ma tanti sono i ricordi dei lucolani di sprazzi di vita faticosa e gioiosa passati in questo scorcio di natura meraviglioso.
Le case “Michetti” rappresentano un insediamento storico di matrice agricola che costituisce una delle componenti fondamentali di caratterizzazione dei paesaggi rurali tradizionali. Questo patrimonio architettonico e urbanistico rappresenta una testimonianza fondamentale del rapporto armonico tra l’attività umana e l’ambiente che caratterizzava il mondo premoderno e le economie agricole. Ha pertanto un valore inestimabile e insostituibile per la salvaguardia della nostra identità storico-culturale.
Gran parte di questo patrimonio, come le case “Michetti” dislocato in area montana interna, è stato abbandonato dai suoi abitanti e/o utilizzatori in conseguenza del declino delle economie agricole e silvo-pastorali, ed ora versa in condizioni di elevato degrado. Anche a Lucoli questa realtà è ignorata e dimenticata, gli armenti e le ortiche si sono impadroniti delle vecchie mura gli antichi fuochi sono ora abbandonati ad un inevitabile degrado.
Le case “Michetti” veduta dall’alto |
Piana di Campoli – Foto E. Mariani |
Le pietre e la vecchia porta di ingresso di una delle case ora trasformata in stalla – Foto E. Mariani |
Altri nomi e disegni realizzati con carbone di legna – Foto E. Mariani |
Foto E. Mariani |