IL 2016 E’ L’ANNO ONU DEI LEGUMI. L’ABRUZZO HA UNA IMPORTANTE NICCHIA DI RIFERIMENTO

by Amministratore

L’ONU ha deciso che il 2016, per tutto il mondo, sarà l’anno internazionale dei legumi. Un prodotto della terra, questo, che ha molte potenzialità e che non tutti conosciamo veramente. Per esempio, quanti di noi pensano che tutti i fagioli siano in genere dei legumi? E invece non è vero, non lo sono. I legumi sono: lenticchie, ceci e fagioli grossi (della specie Phaseolus Vulgaris). Non rientrano nella categoria, invece, fagioli freschi e piselli nè i famosi semi di soia che tanto vanno di moda. Imparato questo, ora vediamo perchè val la pena di dedicare un anno intero ai legumi. Primo, per la loro importanza storica: ci nutrono da 10.000 anni! Poi per la ricchezza del loro nutrimento. Possono sostituire benissimo la carne, ci danno energia e non fanno ingrassare anzi… combattono colesterolo e diabete! Fanno anche bene contro i disturbi coronarici e combattono il rischio di cancro. Non hanno glutine, sono ricchi di fibre e di aminoacidi. Contengono sostanze come calcio, magnesio, potassio e zinco e vengono usati anche nelle terapie di integrazione del ferro. I Paesi principali produttori, nel mondo, sono India, Nigeria, Cina e Canada. Il 75% del cibo nei Paesi più poveri viene dai legumi e le ricette non mancano.
In Abruzzo aumenta, anzi raddoppia ad oggi, la produzione di ceci, pressocché stabile quella delle lenticchie e si mantiene anche la produzione dei fagioli. E’ un boom di leguminose ad inaugurare l’anno proclamato dall’Onu “anno internazionale dei legumi”, la cui coltivazione spesso concentrata nelle zone interne con benefici effetti sulla salute del consumatore in quanto questi preziosi alimenti contribuiscono ad abbassare i livelli di colesterolo e, uniti ai cereali, forniscono all’organismo delle proteine complete.
L’Italia risulta però particolarmente dipendente dall’estero per i legumi secchi, avendo importato nel 2014 302 milioni di chilogrammi di legumi secchi, principalmente da Russia (68 milioni di kg), Canada (58 milioni di kg) e Cina (41 milioni kg), a fronte di una esportazione pari a poco più di 16 milioni di chilogrammi e di una produzione che oscilla sui 130 milioni di chilogrammi. Importazioni che raggiungono il consumatore in forma anonima, non essendo previsto un sistema di etichettatura obbligatoria di questi prodotti.
L’Abruzzo ha una sua piccola ma importante nicchia di riferimento legati alla territorialità più specifica quali per esempio il cece di Navelli, la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, il fagiolo tondino del Tavo. A conferma di questo nuovo “appeal” dei legumi, basta pensare che in Abruzzo negli ultimi cinque anni è pressoché raddoppiata la produzione di ceci, che sono passati da 8.675 a 16.600 quintali e da 464 a 941 per numero di ettari coltivati. È aumentata anche la produzione di fagiolo, che è passato da 4.686 quintali a 5.415 quintali prodotti (e da 187 ettari nel 2010 a 197 del 2015), mentre è rimasta invariata la produzione di lenticchie (tra cui si annovera la pregiata specialità di Santo Stefano di Sessanio), che sono pari a 160 quintali coltivati su una superficie di 20 ettari concentrati soprattutto nella provincia aquilana. Con l’aiuto del Professor Aurelio Manzi che ha scritto, tra gli altri libri, “Origine e Storia delle Piante Coltivate in Abruzzo” possiamo vedere per alcune specie a che periodo risalgono le prime tracce di coltivazione.
Nella Regione i primi ritrovamenti archeo-botanici che lasciano ipotizzare la produzione delle Lenticchie, ad esempio, vengono riferite a 5000-6000 anni fa all’insediamento neolitico di Catignano (Costantini, Stancanelli, 1994). Nel Medioevo la lenticchia, descritta come lente, veniva ampiamente coltivata nella regione anche nelle campagne della fascia collinare e costiera, come testimoniano i tanti statuti di comunità rurali redatti in quel periodo. In alcune aree in particolare nell’alto Sangro, la specie venne denominata micula, termine probabilmente derivato dalla voce latina mica che ha il significato di granello. Le aree meglio vocate alla produzione di questo legume erano quelle montane, nello specifico il comprensorio del Gran Sasso, alcune zone della Marsica e il Piano delle Cinquemiglia, in particolare il territorio di Roccapia. Oggi la coltivazione ha un carattere residuale, l’area in cui essa risulta ancora radicata è il settore meridionale del Gran Sasso, in particolare i territori di Santo Stefano di Sessanio, Barisciano, Calascio, Castel del Monte, Castelvecchio Calvisio. Le lenticchie tradizionali di questo territorio sono minute e scure nel tegumento. A Santo Stefano la coltivazione della pianta si spinge a quote molto elevate fin quasi a 1600 m di altitudine, ove viene seminata in piccole vallecole precedentemente spietrate dette scasci. Le lenticchie coltivate ad alta quota non vengono attaccate dai parassiti dei semi. 
Foto Elisa del Moro
Parliamo anche della Cicerchia è un legume tradizionale ed il primo ritrovamento di semi si colloca in un intervallo temporaneo di 6300-4900 anni fa nell’insediamento neolitico di Catignano (Costantini, Stancanelli, 1994). Fino al secondo dopoguerra la cicerchia (Lathyrus sativus), conosciuta in Abruzzo con i nomi di chichirchie oppure ferchie, era una pianta altamente coltivata per il consumo umano. Le cicerchie venivano consumate essenzialmente allo stato secco, bollite in minestre e cucinate con la pasta, raramente venivano mangiati i semi freschi. In alcune aree dell’Abruzzo è ancora in uso la fracchiata, una particolare polenta di colore bianco-verde ottenuta con esclusiva farina di cicerchia, oppure mischiata con quella di frumento ed altri legumi in particolare fava e cece. E’ degna di nota la coltivazione che si effettua nel territorio di Castelvecchio Calvisio, nel Piano Buto, uno straordinario comprensorio caratterizzato dalla persistenza, fin dall’Alto Medioevo, dei caratteristici campi aperti. Si cita una grave patologia umana connessa all’uso ripetuto nell’alimentazione umana ed animale sia della cicerchia che di altre specie simili (genere Lathyrus) denominata “crurum impotenza”, oggi conosciuta con il nome di latirismo. Le implicazioni sulla salute pubblica furono oggetto di divulgazione nel regno napoletano e, nel 1855 furono emessi provvedimenti per limitare la coltivazione della “dolica”, ossia di L. cicera e L. clymenum.
Rispetto al Cece Cicer arietinum L. Finora non sono venute alla luce testimonianze archeo-botaniche relative ala sua coltivazione in Abruzzo, è da ritenere, per induzione, che la sua diffusione nella regione sia antica, probabilmente successiva a quella della lenticchia. La coltivazione del cece nel periodo medioevale e rinascimentale in Abruzzo doveva essere fortemente radicata come si evince da alcuni statuti comunali. Quartapelle (1801) riferisce che nel Teramano erano in uso tre varietà di ceci: bianchi, rossi e negri, questi ultimi ritenuti migliori per il sapore, quantunque nei decenni scorsi i ceci neri, almeno sulle pendici del Gran Sasso, venissero utilizzati per uso animale.
Origine e Storia delle Piante coltivate in Abruzzo – Aurelio Manzi
Vini e liquori particolari: Mosto cotto, vino cotto, centerba, ratafia.
Carni e salumi: Annoia, arrosticini di pecora, capra alla neretese, guanciale amatriciano, micischia, mortadella di Campotosto, porchetta abruzzese, salame dell’Aquila, salsiccia di fegato, salsiccia di fegato con miele, salsiccia sottolio, salsicciotto frentano, soppressata abruzzese, tacchino alla canzanese, tacchino alla neretese, ventricina vastese, ventricina teramana.
Formaggi: Cacio di vacca bianca, caciocavallo abruzzese, caciofiore aquilano, caciotta vaccina frentana, caprino abruzzese, formaggi e ricotta di stazzo, giuncata e giuncatella abruzzese, formaggio pecorino canestrato di Castel del Monte, formaggio pecorino d’Abruzzo, formaggio pecorino di Atri, formaggio pecorino di Farindola, pecorino marcetto o cacio marcetto, ricotta stagionata di pecora e ricotta salata, scamorza abruzzese.
Olio extravergine d’oliva non ricompreso nelle dop: Olio agrumato, olio extravergine delle valli aquilane.
Ortaggi e frutta: Aglio rosso di Sulmona, carciofo vastese o di Cupello, carote dell’altipiano del Fucino, castagna roscetta della valle Roveto, marrone di valle Castellana, cece abruzzese, ciliegie di Raiano e Giuliano Teatino, patate degli altipiani d’Abruzzo, peperoncino secco piccante, peperoncino secco dolce, uva di Tollo e Ortona, olive intosso, mandorle di Navelli.
Conserve e confetture: conserve di pomodoro, cotognata e marmellata di melecotogne, marmellata d’uva o scrucchiata, scapece o conserva di pesce.
Legumi: fagioli a olio, fagioli a pane, lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, ceci di Navelli, cicerchie.
Pane: pagnotte da forno di Sant’Agata, pane cappelli, pane casereccio aquilano, pane con le patate.
Dolci e miele: parrozzo, pizzelle, sfogliatella di Lama, sise delle monache di Guardiagrele, torrone di Guardiagrele, torrone tenero al cioccolato aquilano, bocconotti di Castel Frentano, cicerchiata, confetto di Sulmona, fiadone, miele d’Abruzzo.
Altri prodotti particolari: farro, tartufo d’Abruzzo, zafferano dell’Aquila. mandorle di Navelli.
Tutti i diritti sono riservati.  “Mosaici d’Abruzzo” – “Progetto Pilota sul Paesaggio Rurale” – Misura 412 – attività 3 – Azione A – CIG 4.1.2.3.a.2 – GAL Gran Sasso Velino.
 

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