Verso il Parco Nazionale del Velino Sirente
Ci troviamo in una vasta area posta proprio al centro delle maggiori aree protette a livello nazionale ed europeo (i Parchi Nazionali del Gran Sasso, della Majella e d’Abruzzo), con le quali il massiccio del Velino-Sirente compone una formidabile rete ecologica, un vasto territorio di quasi 100.000 ettari protetto a livello nazionale dalla Riserva Naturale Orientata Monte Velino, a quello regionale dal Parco del Sirente-Velino (oltre che dalla Riserva Naturale Gole di San Venanzio) in Abruzzo e dalla Riserva Naturale Montagne della Duchessa nel Lazio, ed anche a livello di Unione Europea attraverso due grandi Zone di Protezione Speciale e ben sette Siti di Interesse Comunitario.
Nonostante ciò, il Parco Naturale Regionale Sirente-Velino, istituito nell’ormai lontano 1989, non è mai entrato compiutamente nella necessaria operatività, comportando soltanto vincoli subiti passivamente dalla popolazione. Dopo quasi trent’anni, ancora non è stato approvato il Piano del Parco (nonostante sia stato redatto da decenni e sia anche stato successivamente aggiornato), che avrebbe potuto lanciare una gestione del territorio scientificamente fondata ed adeguata da un lato alle sue qualità ecologiche e dall’altro alle attività umane con queste compatibili. Di fronte all’incapacità di gestire un’area così importante e vasta da parte dell’Amministrazione Regionale, che ne ha più volte mutato i confini senza seguire alcun criterio scientifico e che ripropone di volta in volta riforme peggiorative e parziali, l’unica via per garantire la necessaria protezione agli ecosistemi ed alle specie del grande massiccio del Velino-Sirente appare quella di trasformarlo in un grande Parco Nazionale.
Il nuovo Parco Nazionale potrebbe comprendere il territorio di tutte le aree protette del massiccio, a livello regionale, nazionale ed europeo, in linea con quanto richiesto dalla Strategia Nazionale sulla Biodiversità e dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, per un totale di circa 100.000 ettari.
L’istituzione del Parco Nazionale del Velino-Sirente, oltre a garantire la conservazione del suo immenso patrimonio di biodiversità, consentirebbe di procedere alla gestione razionale del territorio, attraverso un’attenta zonazione che sottoponga alla massima tutela le aree A e B ove sono presenti ecosistemi e specie di elevatissimo valore e liberalizzi gli usi tradizionali e turistici (incluse le attività sciistiche) nelle aree C di “pre-Parco” ove gli ecosistemi sono meno sensibili e di minore valore.
Appennino Ecosistema rivolge quindi un appello a tutte le Associazioni ecologiste e a tutte le forze politiche rappresentate nel Consiglio Regionale Abruzzese affinché si facciano promotrici di una proposta compiuta in questo senso da sottoporre al Ministero dell’Ambiente, ed alle Amministrazioni Comunali di Lucoli ed Ocre perché la sostengano, in modo da includere le porzioni più integre del territorio di loro competenza nel futuro Parco Nazionale.
Appennino Ecosistema mette fin d’ora a disposizione le competenze dei 22 ecologi, geologi, giuristi e conservazionisti che compongono il proprio Consiglio scientifico, per ridisegnare caratteristiche, territorio e modalità di gestione della più grande area protetta a livello regionale.
UN ARTICOLO PER RIFLETTERE: “I parchi del futuro” secondo CIPRA Italia (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi).
In questi mesi nel nostro paese si susseguono le proposte di istituzione di nuovi parchi naturali, in Appennino come sulle Alpi e lungo le coste marine. Si tratta di un segnale culturale importante, che va raccolto e al quale vanno offerte risposte, anche istituzionali.
Anche lo scontro con altre categorie sociali è comunque forte, uno scontro che vede su posizioni opposte cacciatori e agricoltori, timorosi della imposizione di altri vincoli o ancora settori immaturi verso le attenzioni dovute all’ambiente e al paesaggio. CIPRA Italia propone una riflessione sul futuro delle aree protette portando forte attenzione alle possibili azioni che permettano una reale connessione, anche operativa, fra le tante azioni che i territori vanno sviluppando: tutto questo dovrebbe avvenire nel rispetto delle linee guida che ci sono proposte dal protocollo delle aree protette e del paesaggio della Convenzione delle Alpi recuperando verso le aree protette i contenuti strategici offertici dalla Carta Europea del Turismo sostenibile.
Va anche detto che oggi i parchi, specialmente regionali, sono portati all’asfissia operativa causa restrizioni economiche sempre più pesanti. In troppe realtà non si riesce a garantirne la gestione operativa, le azioni di conservazione, le occasioni di sviluppo.
Vanno poste alcune riflessioni anche sui diversi disegni di legge che intendono modificare l’attuale legge quadro nazionale, la 394/1991. Troppi indirizzi intendono affidare ai parchi nazionali obiettivi che riguardano più lo sviluppo economico dei territori interessati che attenersi ai valori propri di un’area protetta. Noi siamo convinti che mentre si incentiva il valore della biodiversità non vi è dubbio alcuno che si costruisca anche sviluppo economico oltre a progresso culturale e scientifico. Non va poi sottaciuto quanto sta avvenendo, in modo drammatico, attorno al Parco Nazionale dello Stelvio. Mentre ricorre la celebrazione dei suoi 80 anni dalla istituzione (24 aprile 1935) la Commissione dei 12 ed il Governo, sostenuti dall’azione diretta delle province autonome di Bolzano, Trento e dalla Regione Lombardia, hanno di fatto smembrato il parco nazionale in tre minime realtà regionali. Il più grande parco delle Alpi è stato così destrutturato nel più assoluto silenzio – assenso della politica nazionale e locale.
In questo contesto contraddittorio CIPRA Italia si chiede quale futuro possano avere le proposte di istituzione di nuovi parchi nazionali o regionali, come sta avvenendo attorno al Monviso, al Centro Cadore o al Cansiglio. Per fare questo deve esservi la consapevolezza che si dovrebbe riuscire a rispondere ad alcune domande sempre più presenti nel dibattito sociale leggendo le aree protette non come valore ideologico assoluto, ma come territori che hanno saputo e possono legare il dovere della conservazione a quello delle riposte economiche rivolte alle popolazioni che nei parchi vivono.
E’ utile chiedersi e rispondere se ad oggi le norme rigide e il controllo severo abbiano funzionato sul piano dei risultati della conservazione del territorio. In molte realtà questi vincoli non hanno funzionato perché in un paese come quello italiano le deroghe rivolte alla speculazione, anche dentro i parchi, trovano sempre deroghe devastanti. In altre situazioni l’assoluta rigidità vincolistica, non recependo le trasformazioni naturalistiche in atto, hanno portato anche a perdite di biodiversità. Un po’ ovunque, va detto con coraggio, dove non si è attuata una zonizzazione partecipata, il parco ha portato le popolazioni locali a deresponsabilizzazione totale verso il dovere della conservazione del territorio, del paesaggio, delle culture locali.
E’ quindi anche utile e necessario interrogarsi sul valore reale della istituzione di nuovi enti, se siano necessari per tutelare ambienti pregiati, quale risposta offrire alle tante aree SIC e ZPS diffuse sulle nostre montagne, le risposte da coordinare rivolte ai comitati, alle associazioni, alle istituzioni che hanno individuato sul territorio parchi locali, parchi fluviali, parchi agricoli, geoparchi, biotopi che poi vengono abbandonati, non gestiti, che si ritrovano ad essere isole chiuse destinate ad un veloce degrado o a subire modifiche che le snaturano o le impoveriscono del bene che andava tutelato. Siamo in presenza di un ambientalismo che deve reinventare la sua scatola degli attrezzi anche per rispondere in modo concreto ai troppi territori che vengono abbandonati o destinati ad allevamenti intensivi tipici delle grandi pianure. Fornire risposte a questi interrogativi significa investire in energie culturali e di lavoro giovani, in nicchie ancora poco esplorate, in ricerca e cultura.
L’esempio del Trentino forse ci può aiutare. In Provincia è stata istituita una rete delle riserve. Si tratta di un investimento culturale, partecipato, che ha messo attorno ad uno stesso tavolo comuni, parchi, agricoltori, cacciatori, ambientalisti, operatori sociali ed economici.
Questi, guidati dalla Provincia, hanno saputo varare dei piani di gestione del territorio che prevede attenzioni, azioni di recupero, di investimento nella biodiversità unendo fra loro, in veri e proprio corridoi ecologici e paesaggistici, parchi fluviali con geoparchi, parchi locali con parchi agricoli, aree SIC e ZPS con singoli biotopi. Accordi volontari, a tempo determinati, vincolati da un piano di gestione che promuove lavoro e nuove occupazioni. La condivisione dei progetti è stata il motore reale di questi progetti. Ad oggi le reti di riserve istituite sono 8, altre sette sono in cantiere. Dalla Marmolada all’Adamello si sarà così costruito un ponte ecologico fino ad ieri impensabile, capace di legare i fondovalle alle vette più impervie.
Questo impegno oggi permette al mondo agricolo, agli stessi cacciatori, agli operatori turistici maggiore consapevolezza del valore del loro territorio e li porta ad un investimento di responsabilità diretta nella gestione di questo bene. Sarà un investimento che sarà allargato, man mano che maturerà, a tutta l’area di Dolomiti UNESCO e probabilmente anche nelle regioni limitrofe, dalla Lombardia al Veneto. Con questo innovativo strumento la conservazione da passaggio passivo si tramuta in azione, quindi in occasione di lavoro per più operatori del territorio, in formazione, in superamento di conflitti, in nuova pianificazione paesaggistica e urbanistica.
Con il documento proposto CIPRA Italia rinnova l’importanza strategica che le aree a parco, sia queste nazionali o regionali, rivestono nella politica della conservazione della natura e del paesaggio nel nostro paese. E si chiedono, da parte delle istituzioni, passi concreti:
- Il rifinanziamento diretto delle aree per permetterne l’azione specifica diretta alla conservazione dei beni comuni;
- il recupero reale e l’attuazione dei contenuti del protocollo della Convenzione delle Alpi “Protezione della natura e del paesaggio” specialmente nei passaggi che invitano alla definizione certa di connessioni fra aree meritevoli di pregio e di attenzioni conservazionistiche.
- l’investimento in accordi transfrontalieri tesi alla istituzione di parchi europei (Alpi marittime Mercantour, oppure Stelvio Engadina con il parco PEACE).
- l’esempio della provincia di Trento sulle reti di riserve può essere diffuso in tutto il paese;
- Riprendere e rivedere le zonizzazioni in modo tale da permettere di raccogliere anche le legittime esigenze di chi nei parchi vive: rete dei servizi, possibilità di lavoro, sviluppo di sinergie fra i diversi settori economici.
- Implementare in tutte le aree protette le certificazioni di profilo internazionale investendo anche nella Carta Europea del Turismo Sostenibile e il potenziamento delle filiere economiche e conservazionistiche;
- I Piani di Sviluppo Rurale (PSR) dovrebbero incentivare in modo prioritario chi lavora i territori dei parchi e dell’insieme delle reti delle riserve. Le aree protette sono luoghi di sperimentazione di buone pratiche e sono un investimento dell’intera umanità rivolto alla conservazione dei beni comuni per le future generazioni;
- La pianificazione deve essere costruita con il protagonismo attivo delle istituzioni locali e dei portatori di interessi collettivi, nel rispetto del mondo scientifico e della ricerca naturalistica e ambientale e deve prevedere tempi certa nella attuazione;
- Ogni percorso deve essere partecipato offrendo agli stakeholders possibilità anche di controllo nel percorso attuativo.
Oggi, conclude CIPRA nel suo documento, ci aspetta un passaggio culturale importante: avere la capacità di unire in un unico disegno di gestione le aree delle alte quote ai fondovalle, costruire sinergie operative fra i bisogni, i lavori, i servizi delle popolazioni di montagna con quelli delle pianure e delle aree metropolitane.
Un simile processo non può trovare successo attraverso politiche centralistiche e impositive, ma solo con la costruzione di apposite reti che riescano a fare sintesi di alto profilo fra le esigenze della conservazione dei beni naturali e quelli dello sviluppo economico delle popolazioni che vivono la montagna ed i suoi ospiti.
Il Consiglio Direttivo di CIPRA Italia
(rivisto da Luigi Casanova vicepresidente di CIPRA Italia)
2 comments
Ma in questa eventuale inclusione di Lucoli nel parco… Quali sarebbero le zone del nostro territorio che ricadrebbero nelle varie tipologie a, b, c? Esistono già delle ipotesi? Quali vincoli potrebbero queste zone ad esempio per la raccolta funghi, raccolta tartufi, taglio legna ad uso civico o commerciale, attività venatoria, sviluppo infrastrutturale per attività ricettive etc… Pongo queste domande perché mi piacerebbe poter valutare al meglio gli effetti di una eventuale scelta (positiva/negativa) Suggerisco di organizzare degli incontri con i cittadini, in cui persone esperte possano informare e chiarire molti dubbi. Sarebbe utile portare anche esperienze di altri territori già appartenenti a parchi. Solo così si potrebbe far scegliere in maniera informata i cittadini.
Marcello Iannini
Grazie della risposta.
Tutto sarà connesso dall'attività di "zonazione".
Gran parte dei Parchi Nazionali e Regionali sono stati istituiti attraverso la "legge quadro n. 394 del 1991" secondo questa legge i Parchi "sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future".
La legge quadro pone l'obiettivo di coniugare le esigenze di conservazione e tutela del patrimonio naturale con gli interessi delle popolazioni locali attraverso l'avvio di forme di sviluppo sostenibile all'interno dell'area protetta. La tutela dei valori naturali e ambientali, che la legge affida all'Ente Parco, è perseguita attraverso lo strumento del Piano del Parco (che quello del Velino Sirente non riesce a rilasciare….), che suddivide il territorio in funzione del diverso grado di protezione.
Il lavoro deve essere fatto, come indicato nel comunicato stampa e senz'altro va coinvolta la comunità locale.