Semi della tradizione agricola d’Abruzzo |
Vogliamo raccontarvi un’esperienza che si svolge a RONCO SCRIVIA (GENOVA). L’articolo è tratto dal quotidiano La Repubblica”.
Una manciata di semi di zucca gialla in cambio di un pugno di fagioli di Feltre. Un cesto di limoni delle Cinque Terre per quei chicchi di frumento toscano. Conosce il cavolo lucano, perché non pianta questo bel melo trentino? Provi il peperoncino nero di Salerno, è una rarità. Niente denaro, qui si baratta. Si parla, ci si conosce. Vent’anni fa erano poche decine di fuorilegge, come minimo rischiavano un’ammenda. Adesso a ogni appuntamento sono migliaia. E alle loro spalle cresce un movimento “neorurale” che potenzialmente – tra campi, orti, giardini e balconi riadattati, in paese ed in città – conta in Italia sui tre milioni di praticanti. Almeno.
Ieri a “Mandillo dei semi” erano oltre duemila persone. A Ronco Scrivia, un paese sulle alture di Genova. Mandillo, in dialetto, sta per fazzoletto: e dunque, scambiarsi i semi prodotti dalla propria terra – piccola o grande che sia – , riporli in un mandillo per regalarli al prossimo. Uno sconosciuto, un nuovo amico. Un mercato di idee, di ribellione, di speranze: un nuovo modo di vivere. “Libera festa del libero scambio di semi autoprodotti e lieviti di casa, esposizione di frumenti e frutta antica”, recitava la locandina. In Italia ci sono almeno 80 appuntamenti così, durante l’anno. Un altro mondo possibile: di piccoli contadini indipendenti, di appassionati che tornano alla terra per tanti motivi diversi. E non importa se è un campo, un orto urbano o sociale, un giardino o un grande vaso su di un balcone nel cuore della metropoli: “L’importante è vedere che la pianta cresce. E con lei, anche noi”.
Giovanni Zivelonghi era operaio in una nota una industria chimica di Verona, la Glaxo. Da quando è in pensione, è una seconda vita sulle montagne della Lessinia. “Zappo, semino, bagno, raccolgo. Vivo bene”. Vuole condividere, e allora con alcuni amici è venuto fin giù vicino al mare di Genova e in alcune bustine regalava semi di tutto: zucca forte, gialla, costoluta, insalata del Tita (il “Tita” era un vecchio contadino delle sue parti, che ha lasciato una “straordinaria eredità “, racconta), fagiolini nani, tegolini del Monte Pastello. Arriva un signore di Pieve Ligure, lascia un paio di limoni e si prende una bustina. Un altro allunga dei semi di tabacco: “Fa fiori bellissimi, se avete pazienza ci potete riempire la pipa”. Giovanni ringrazia. Spiega che il mese scorso ha ritrovato una signora che a Milano fa l’architetto: “Le avevo dato del radicchio rosso veronese. Piccolino, non come quello di Chioggia: mi ha detto che lo ha tenuto in casa e al caldo ha sviluppato un cuoricino stupendo. Era felice”. “Giangi” Benetti, un amico, sorride: pure lui faceva l’operaio, poi si è messo a coltivare i campi. “Qui la gente scambia esperienze che a volte non ci credi: io piantavo da anni una zucca spinosa e non succedeva niente, poi è arrivato uno – di mestiere fa il bancario, pensa un po’ – e mi ha spiegato come facevano dalle sue parti, in Piemonte. Ha funzionato”.
L'”altra” agricoltura. Quella che non punta al profitto ma alla qualità anche morale, alla piccola soddisfazione personale. Pure in un metro quadro, in un balcone o in un orto urbano o sociale, come quello chiesto e ottenuto da Luca Fiorelli, studente universitario di Cesate, provincia di Milano: “Un anno fa eravamo in 4: adesso siamo in 30, a coltivare”.
Gli italiani riscoprono la terra, in campagna e in città. Vogliono sapere, informarsi. Il mensile Terra Nuova ha 130 mila lettori e come casa editrice ogni anno pubblica circa duecento titoli, altre case editrici – come Pentàgora – vivono di questo. Il gruppo Facebook di Terre Rurali, associazione protagonista del recupero delle varietà di frumento conta su oltre 12 mila iscritti. Sì, vent’anni fa erano dei fuorilegge. “Prima del 2000, scambiarsi semi prodotti dalla propria terra era un delitto punito dal codice con un’ammenda salata. Le uniche varietà di semi ammessi erano quelle stabili, nazionali”, racconta Massimo Angelini. Che cominciò una sorta di disobbedienza civile: il primo “scambio delle sementi”. Dieci anni fa il governo riconobbe la biodiversità italiana. “Da allora siamo passati da 5 o 6 varietà di frumento conosciute a 110. Tanti panifici, in Puglia e Toscana, Sicilia, li stanno adottando. È solo l’inizio”.
Anche i soci della nostra Associazione hanno iniziato prima a donarsi semi, poi direttamente piante da orto ricavate dai semi della tradizione agricola dell’Abruzzo. Lo scorso anno abbiamo avuto dei raccolti interessanti di pomodori. Anche chi fosse interessato ai semi dei frutti che vivono nel Giardino della Memoria può contattarci.
La patata “Turchesa” sarà oggetto di scambio tra i nostri soci nel 2017 |
La Patata Turchesa è una varietà di patata tipica del territorio dell’area del Parco Nazionale del Gran Sasso. La sua è una storia molto simile a quella di altri prodotti di antica memoria ed utilizzo, abbandonati a favore di altri più semplici da coltivare ed utilizzare.
Ma più che una storia, quella della Turchesa è la favola di una Principessa. E in ogni favola che si rispetti, ad un certo punto, c’è sempre l’intervento di una fatina o di un mago. Con l’ormai diffusa coltivazione della Patata del Fucino (dalla buccia liscia e senza bitorzoli) la Turchesa era praticamente scomparsa, caduta in disgrazia a causa di un carattere non facile e di quelle gobbe che la rendevano un po’ bruttina. Ma qualcuno si ricordava ancora di lei: erano i vecchi contadini che raccontavano di questa varietà di patata dal colore così particolare e talmente buona che si mangiava cotta sul coppo, oppure sotto la brace e con tutta la buccia. E, poiché, il detto non sbaglia mai e si sa che “il contadino ha scarpe grosse e cervello fino”, anche in questa favola che vi stiamo raccontando, quando la situazione sembrava ormai irreparabile, è arrivato il tocco di magia. Era il 2002 e nelle vesti di “fatina” della nostra storia è intervenuto il Parco del Gran Sasso che, grazie agli agronomi del Servizio AgroSilvoPastorale dell’Ente, ha recuperato gli ultimi 33 tuberi esistenti nelle zone di origine ad Isola del Gran Sasso e a San Giorgio di Crognaleto, in Provincia di Teramo, per avviarne la riproduzione in vitro. Dopo due anni sono nate 10.000 minipatate con cui è stata avviata la produzione in due zone, ad Assergi e Barisciano (AQ).
I nostri semi: albero denominato “susina Goccia d’Oro” cresce nel Giardino della Memoria |
Per chi fosse interessato a tali iniziative di scambio semi in Abruzzo si segnala l’attività dell’Associazione Movimento Zoè di Sulmona, da anni impegnata nello sviluppo della cultura rurale, che organizza in genere nel mese di Febbraio la Fiera della Neo Ruralità – Scambio dei semi, presso i locali del Parco Nazionale Majella, all’Abbazia S. Spirito al Morrone a Badia di Sulmona (AQ).
L’evento è in primis un incontro tra coloro che stanno vivendo l’Abruzzo Rurale valorizzandone le risorse, soprattutto quelle eco-compatibili e la biodiversità. Ognuno a suo modo, chi con scelte tradizionali chi con quelle innovative in campi molto differenti come quello agricolo, zootecnico, ma anche nel turismo “sensibile”, chi con progetti sociali, architettura sostenibile, enogastronomia, artigianato, arte, mobilità sostenibile, altra educazione, villaggi ecosostenibili, democrazia partecipata, energie rinnovabili, e tanto altro… ognuno a suo modo contribuisce a creare indirettamente un movimento Neo Rurale.