Questa serie di quaderni, giunta ormai al 6° volume, raccoglie esperienze regionali incentrate sulla riscoperta e la valorizzazione delle cultivar selezionate per secoli dai contadini locali contribuendo al recupero dell’elevatissima biodiversità agricola del nostro territorio, risultato di una complessa e millenaria evoluzione storica. I frutti “antichi”, in equilibrio per secoli con le condizioni ambientali locali, rappresentano un presidio e un riferimento per la tutela dell’agrobiodiversità e per lo sviluppo di un adeguata filiera biologica in quanto portatori di germoplasma di qualità e per le loro elevate caratteristiche nutraceutiche.
Le convenzioni e gli strumenti normativi a livello internazionale, comunitario e nazionale incentivano sempre di più politiche funzionali alla conservazione della biodiversità nel settore agricolo, al miglioramento della sicurezza alimentare, alla sostenibilità ambientale e alla salute delle popolazioni. Inoltre nell’opinione pubblica si sta sempre più diffondendo la richiesta di cibi stagionali genuini ad alto valore nutrizionale e biologici.
I frutti antichi sono espressione di un valore che può racchiudersi in un concetto: la biodiversità, l’agrobiodiversità nel caso in esame, intesa come il risultato del processo evolutivo che ha generato la molteplicità di animali e vegetali addomesticati. Questa collana di quaderni dedicati ai frutti dimenticati e alla biodiversità recuperata ha fra i suoi meriti quello di aver contribuito al recupero e alla valorizzazione delle risorse genetiche a rischio di estinzione e di avere messo in rete gli agricoltori, custodi che con caparbietà e lungimiranza hanno conservato il germoplasma di quelli che potrebbero essere addirittura i frutti del futuro perché hanno ampiamente dimostrato nel tempo di sapersi adattare alle avversità climatiche e parassitarie, resistendo per secoli e millenni.
La protezione e la diffusione di queste preziose varietà rivestono un ruolo fondamentale anche nell’ambito del Piano d’azione Nazionale per l’uso sostenibile dei pesticidi, con particolare riferimento all’eliminazione delle sostanze dannose all’ambiente. La loro diffusione permette di favorire l’ecocompatibilità delle attività agricole nelle aree protette che, in quest’ottica, potrebbero essere individuati come laboratori sperimentali viventi. L’associazione di varietà adatte alla gestione integrata e biologica con opportuni marchi di qualità, finalizzati alla compatibilità ambientale, può rappresentare, inoltre, un’occasione economica, insieme al turismo.
La Regione Abruzzo può vantare un considerevole numero di specie e varietà autoctone, patrimonio della nostra agricoltura e delle nostre genti, patrimonio che, generato dalle mille sfaccettature climatiche e pedologiche delle vallate appenniniche fino al mare, dona alla regione una forte identità ed una connotazione di accoglienza e di condivisione. Le montagne però, se da un lato accentuano le diversità, dall’altra creano ambienti contigui, versanti simili per molti aspetti, comunicanti tramite i numerosi valichi che ne consentono l’attraversamento. Tale condizione porta all’identificazione di un ambiente omogeneo definito come “dorsale appenninica” che va al di là dei confini amministrativi regionali e nel quale non è difficile ritrovare le stesse specie e le stesse varietà, diverse magari solo per il nome e per talune sfumature di gusto. Le catene montuose presentano una disposizione parallela da nord verso sud, delimitano numerose conche interne con caratteristiche climatiche sub-continentali. La fascia collinare, invece, è costituita da argille: plioceniche nel settore settentrionale, ben più antiche quelle meridionali rappresentate da argille “varicolori” dell’Oligocene che manifestano una maggiore salinità. Rare, invece, le aree pianeggianti localizzate lungo le principali aste fluviali in prossimità della foce, oppure nelle conche interne, come quella un tempo occupata dal lago Fucino bonificato nella seconda metà del XIX secolo, la Conca Aquilana o la Conca Peligna, le prime due localizzate ad altitudini maggiori. Inoltre, i grandi altopiani, ampie fosse di origine tettonica come il Piano delle Cinquemiglia, gli Altipiani delle Rocche o Campo Imperatore sul Gran Sasso, aree di scarso valore agronomico in quanto localizzate ad altitudini superiori a 1300 m. La coltivazione dei primi alberi da frutto in Abruzzo sembra abbia avuto inizio verso il periodo finale dell’Età del Bronzo, circa 3500 anni fa. Tra la fine dell’Età del Bronzo e l’inizio dell’Età del Ferro si collocano i primi ritrovamenti archeologici che attestano la coltivazione dell’olivo e della vite. Le prime testimonianze della coltivazione della pianta sacra ad Atena si riferiscono al bacino del Fucino (Cosentino, 1998) e, in modo particolare, alla fascia collinare adriatica, nello specifico al sito archeologico di Fonte Tasca, tra i comuni di Archi ed Atessa (Di Fraia, 1995, 1996). L’Abruzzo è una regione che si caratterizza per la straordinaria ricchezza e diversità della sua flora che ammonta a 3363 entità floristiche (specie e sottospecie) di cui molte endemiche ed esclusive della regione (Conti, Frattaroli, Bartolucci, 2012). Oltre 100 di queste piante risultano specie progenitrici di quelle coltivate (con finalità alimentari) oppure loro affini sotto l’aspetto sistematico (Manzi, 2012b).
Quando la stagione era ferma, in inverno, i frutti raccolti continuavano a segnare la vita di tutti i giorni: alcune varietà di mele e pere, ad es. le mele Limoncelle (dette “Franzesi”o “Melalice” o “Meloncelle”) e le pere cosiddette “demmièrne”(d’inverno) si conservavano fino a Natale e per tutto l’inverno, noci e mandorle erano “glorificate” nei dolci natalizi, i grappoli di uva più belli erano appesi ad appassire, conservati per i pranzi delle feste. Le cotogne, che si cuocevano unitamente ad alcune pere dure che non maturavano mai, in un paese della Valle Subequana (Castelvecchio Subequo ) assumevano un carattere rituale, era usanza infatti che i ragazzini maschi facessero il giro dei parenti e del paese intero portando l’augurio di Buon Anno in tutte le case. La cantilena rituale era : “Bongiorne, Boncapedanne, mille de quiste juorne, cacce ‘nu petecugne appulmunète” che tradotto suona così: -Buongiorno, Buoncapodanno, mille di questi giorni, tira fuori un melocotogno ben maturo-.
In questa interessante pubblicazione è inserita l’esperienza di salvaguardia della biodiversità del Giardino della Memoria di Lucoli e vengono citati tutti i personaggi che ci aiutano e ci hanno aiutato a realizzarlo.
Melo “cipolla” |
Pero cotogno |
Melo “gelata d’Abruzzo” |
Susino “goccia d’oro” |
Mela renetta aranciata |
Concludiamo con le bellissime foto dei frutti del Giardino della Memoria.
Per leggere questo interessante quaderno vi forniamo il link: http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/quaderni/natura-e-biodiversita/frutti-dimenticati-e-biodiversita-recuperata-lazio-abruzzo.
Ringraziamo l’ISPRA per la grande opportunità di divulgazione del nostro lavoro concessaci.
Ringraziamo l’ISPRA per la grande opportunità di divulgazione del nostro lavoro concessaci.
1 comment
Complimenti a NoixLucoli per essere parte del volume ISPRA sui frutti dimenticati di Lazio e Abruzzo. Molto bene essere insieme a figure alte della conoscenza del territorio come Aurelio Manzi o i colleghi del Parco della Majella, non me ne vogliano gli altri altrettanto bravi.
La costituzione di una collezione di frutti di antiche varietà io la vedo come una sacra offerta alla Dea Natura, un'azione di bontà pura verso l'Umanità.
Se pensiamo che il miglioramento genetico delle specie da frutto molto spesso punta alla conservabilità del prodotto durante il trasporto, nelle camere refrigerate, negli scafali dei negozi e poco pensa al sapore e alle proprietà nutrizionali, queste collezioni, per quanto piccole sono una specie di polizza assicurativa. Saluti Beti Piotto