1
Chi vuol saper chi sia
La Vergine Maria,
La miri sul Calvario
Nel colmo del dolor.
Mira con fermo ciglio
Languir sul tronco il figlio;
E’ Sacerdote e vittima
Anche essa per amor.
2
Nella sua doglia atroce
Ascende sulla Croce;
E ferma come scolio
Sta della Croce a piè.
Contempla ed arde e gela,
Ma il suo martirio cela;
E del suo figlio un palpito
Ignoto a Lei non è.
3
Dovea patir da Madre,
Ma dell’eterno Padre
L’alto voler doveasi
Solo da Lei voler.
Solo da Lei voler.
Forte però sostiene
Un mar di tante pene
E tra pietà e giustizia
Adempie il suo dover.
4
Da Dio che pena e nuore
Da Dio, nel suo dolore
Da Dio voleva un’anima
Che usasse a Lui pietà
Che s’Egli soffre e forte
Riceve la sua morte;
Soffre Maria e debile
Un sol pensier non ha.
5
Anzi il suo figlio stesso
Di amore per eccesso
Svenato il Sacrificio
Avrebbe di sua man
Con la pupilla pura
Vedea, che la natura
Si rimetteva in ordine
Con quel soffrire arcan.
6
Sotto l’augusto legno
Diede il più vivo segno
Della virtù ineffabile
Che racchiudeva in sen
Di madre così forte
Stupì natura e morte:
Guardolla e fuggi Satana
Qual rapido balen.
7
Del Figlio nella pena
Mirò la rea catena
Dai piè dell’uomo sciogliersi
Per trarlo a libertà.
Onde nel sen costante
Martire e fida amante
Misto ebbe al duolo un gaudio
Che esprimer non si sa.
8
E pago il figlio eterno
Mirò nel sen materno
Un cor capace a reggere
A Tanto suo soffrir.
Così l’amore stesso
Ebbe in due cori impresso
Con un ardor scambievole
Patire e compatir.
9
Il verecondo assenso
Diè pur per duolo immenso
Quando lo diede all’Angelo
Pel Figlio Redentor.
Come accettò l’onore,
Così accettò il dolore;
Fu uguale a quello di Efrata
Del Golgota l’amor.
10
Tanto ci amò la Diva
Madre, che il figlio offriva;
Ma solo sul Calvario
Per figli ci accettò.
E con la Croce il fronte
Ci segnerà sul monte:
E nella solitudine
Al nostro ben pensò.
11
Perciò non può l’amore
Goder del suo bel core,
Chi rifiutando il calice
La croce sprezzerà.
L’alme trafitte e amanti,
Sol nel dolor costanti
Col suo Gesù se penano
Per care figlie avrà.
12
Eccomi, o Madre cara,
Nella mia doglia amara;
Come ho bevuto il calice,
La croce abbraccerò
Sotto il sacrato legno
Per farmi di te degno
Con saldo amore e fervido
Te amando morirò.
Mosè Bianchi, ”Crocifissione” (1881) |
Michele Palumbo, poeta di Lucoli, scrisse otto Canzoni, quella che abbiamo voluto pubblicare in occasione della Settimana Santa risponde alla domanda che si fece il poeta su chi fosse veramente Maria. Preliminarmente per sapere chi Ella sia, occorre guardarla sul Calvario “nel colmo del dolore”. Maria è colei che “contempla ed arde e gela” e che sa nascondere il dolore che prova per il figlio in Croce. Qualcuno dei nostri lettori si chiederà che senso abbia ai giorni nostri rileggere un testo di pregnante carattere religioso (oltre al fatto di essere stato composto da un uomo colto di Lucoli che di per sè potrebbe essere un buon motivo). Tra i tanti ce n’è anche uno di ordine storico, i versi di Michele Palumbo acquistano speciale significato per il loro intento di mostrare non solo che Dio non è nè un rischio nè un credo superfluo ma sia “Egli”, addirittura, la condizione necessaria dell’agire umano inteso nelle sue molteplici sfaccettature. I versi di Palumbo – che costituiscono l’essenza della sua vita – dimostrano che il sentire religioso è e deve essere un momento costitutivamente vitale dell’agire umano. Con queste parole Francesco Di Gregorio commentava, nel libro dal quale abbiamo tratto questo scritto poetico, i versi di Palumbo. Nel nostro piccolo lavoro di ricerca e di rivitalizzazione di quanto di prezioso abbia prodotto Lucoli, riproponiamo il testo “Michele Palumbo – Memorie Poetiche” a cura di Francesco Di Gregorio, edito nel 1969 da L.U. Japadre Editore – L’Aquila.