Incisione di Bartolomeo Pinelli: brigante con cane di razza “corsa”. |
Questo testo non vuole avere la pretesa di competere con illustri conoscitori e studiosi della materia, tantissimo è stato scritto in merito al brigantaggio nell’Aquilano.
Ci piaceva l’idea di riportare a memoria a distanza di 150 anni e proprio nell’anno in cui l’Italia ha celebrato l’anniversario della sua unificazione, i nomi di giovani lucolani che, forse incosapevolmente, hanno animato una resistenza politica verso quell’unità, alimentando con le loro azioni delittuose, un desiderio di restaurazione verso i Borboni o comunque un malessere verso i nuovi governanti che avevano fatto sì l’Italia, ma che, ne imponevano la “ragione di stato”.
Documentandoci, ci è sembrato di rivedere per le vie di Colle di Lucoli, quell’Amedeo del Soldato, nato a Colle il 28 Febbraio 1840 da Innocenzo e da Luisa Giannone, che fu prima “garzone” a servizio della marchesa Quinzi, poi soldato borbonico un po’ sbandato, ed infine si diede alla macchia per non arruolarsi nelle file dell’esercito italiano. Già nelle cronache del ’62 è nominato quale uno dei più pericolosi briganti sulle montagne di Tornimparte e di Lucoli. Viene ricordato di “statura piuttosto alta, con barba lunga, di bell’aspetto”, nel maggio-ottobre del 1868 il Del Soldato operava con il grado di “caporale” sotto Sottocarao e Trapasso sulle montagne di Preturo, Cagnano, Lucoli. Rimase ucciso (forse non si volle catturarlo vivo), il 1° gennaio 1869, alle ore 8 di mattina, presso Torre di Taglio, aveva solo ventinove anni.
Oppure, abbiamo riveduto con l’immaginazione la Frazione di Colle al tempo dei briganti, così come la descrive in un suo interrogatorio Andrea Miocchi, massaro dell’allevatore Ratini di Lucoli, i briganti erano provveduti di “munizioni di ogni specie per mezo dei carbonai che si recavano in Aquila a vendere carbone in ogni giorno si mercato, di talchè non mancava ad essi mazzi di cartucce polvere e palle, che nella permanenza della comitiva in queste montagne quasi in ogni sera scendevano al villaggio di Colle a bere ed a mangiare e che da tutti in quel paese eran bene accolti senza distinzione, che dei tanti pranzi avevano pure ricevuto dagli altri villaggi di Santa Croce, Prata e Peschiolo e che quando partivano dalla montagna per restituirsi in Roma lasciavano le armi presso un prete del Corvaro“.
Oppure, abbiamo riveduto con l’immaginazione la Frazione di Colle al tempo dei briganti, così come la descrive in un suo interrogatorio Andrea Miocchi, massaro dell’allevatore Ratini di Lucoli, i briganti erano provveduti di “munizioni di ogni specie per mezo dei carbonai che si recavano in Aquila a vendere carbone in ogni giorno si mercato, di talchè non mancava ad essi mazzi di cartucce polvere e palle, che nella permanenza della comitiva in queste montagne quasi in ogni sera scendevano al villaggio di Colle a bere ed a mangiare e che da tutti in quel paese eran bene accolti senza distinzione, che dei tanti pranzi avevano pure ricevuto dagli altri villaggi di Santa Croce, Prata e Peschiolo e che quando partivano dalla montagna per restituirsi in Roma lasciavano le armi presso un prete del Corvaro“.
Altri nomi di giovani del territorio, Michele Giannone di Lucoli Alto, fucilato nel 1861, Amedeo Giusti (che rubò dei vestiti al Sindaco di Tornimparte Corpetti) fucilato nel 1873 a Castiglione, Achille Vizioli del Peschiolo, Angelomaria Ciccani (processato e condannato il 28 maggio del 1868), Michelangelo Dieghi, Pasquale di Rocco e forse tanti altri che non abbiamo nominato.
Nell’anno del centocinquantesimo vogliamo dedicare anche a loro un pensiero di pietà ed ammirazione, così come lo abbiamo fatto per un cittadino illustre di Lucoli del tempo, che invece è dalla parte “giusta” nella storia patria: Pietro Marrelli, mazziniano, che l’Unità l’ha voluta con tutto se stesso. La Scuola Elementare di Lucoli gli è dedicata, nessuno ricorda più, invece, Amedeo del Soldato sempre figlio della stessa terra.
I briganti lucolani, ci arrivano dalla storia come personaggi oscuri, di cui si conoscono solo le efferatezze commesse ai danni dei proprietari terrieri del tempo: ad esempio i Cialente, i Properzi, oppure dei Sindaci, citatissimo nelle cronache giudiziarie quello di Tornimparte: Corpetti, ma anche quello di Lucoli, Massimo Properzi, che proteggevano gli interessi dei ricchi locali e naturalmente del governo unitario. Di questi giovani si conoscono solo le efferatezze compiute, raccontate in modo solerte da chi gli dava una feroce caccia, che in genere si concludeva con la loro morte.
Sembra che, contrariamente a quanto avvenne ad esempio a Tornimpare o in altre zone dell’Abruzzo e del Meridione, a Lucoli i briganti non venissero pienamente sostenuti dalla popolazione. Il forte indotto dell’attività armentizia, creava solidarietà per i datori di lavoro che venivano duramente colpiti; non dimentichiamo che nella scala sociale dei poveri un pastore, un casaro, un garzone stavano meglio del contadino, che era l’unico vero miserabile.
Sembra che, contrariamente a quanto avvenne ad esempio a Tornimpare o in altre zone dell’Abruzzo e del Meridione, a Lucoli i briganti non venissero pienamente sostenuti dalla popolazione. Il forte indotto dell’attività armentizia, creava solidarietà per i datori di lavoro che venivano duramente colpiti; non dimentichiamo che nella scala sociale dei poveri un pastore, un casaro, un garzone stavano meglio del contadino, che era l’unico vero miserabile.
A spingerci nella scrittura di questo testo è il senso della pietà per dei vinti che non erano così tanto ingiusti, per quegli uomini che le vicende disgraziate della storia hanno relegato in un mondo di ombra, a cui neanche la pietà dei vivi per i perdenti è stata concessa per tanto tempo.
Le storie di Del Soldato, del Giusti e degli altri sono tutt’uno con quelle di fame e miseria che la comunità di Lucoli ha sopportate per tanto tempo ed il cui retaggio sotto forma di spopolamento del territorio è ancora sotto i nostri occhi. Le loro storie si intrecciano con le vicende dei ceti più umili: pastori, carbonai, contadini; sono le storie dolorose delle montagne, delle Frazioni di Lucoli ora anche desertificate dal terremoto del 2009, di tante genti vissute fino a qualche decennio fa e la cui eco risuona ancora tra la valle del Rio, le querce di Santa Croce o le montagne di Campofelice.
Le condizioni dell’Abruzzo sono state sempre caratterizzate da una profonda miseria e con l’avvento del nuovo governo, la miseria è aumentata e con essa è apparso il brigantaggio, che nacque all’inizio come fenomeno politico, ma che poi assunse un carattere di protesta sociale ed a livello di territorio anche di ribellione alla condizione feudale, di rivincita contro i torti e le angherie subite ad opera dei “galantuomini”, nobili proprietari di terre ed armenti, borghesi e notabili (molti cognomi sono ancora oggi tracciabili e noti), che si spartivano la vita economica del paese e che cercavano garanzie pe ri loro beni con ogni governo.
La storia d’Abruzzo, come tutti sanno, è sempre stata un susseguirsi di occupazioni violente (barbari, normanni, svevi, angioini, aragonesi); le popolazioni avevano sempre assistito inermi a tali avvenimenti, ma ora gli eventi del 1861/1862 non vengono più accettati con rassegnazione: il nuovo usurpatore, la nuova sopraffazione non possono più essere sopportati, occorre reagire e le masse contadine iniziano a muoversi. Gli Abruzzesi consideravano da sempre il Regno di Napoli come loro patria: così, ad esempio, i contadini teramani, pur di non votare al plebiscito di annessione al Piemonte, si ribellarono e si ritirarono in montagna, formando bande di briganti per evitare rappresaglie.
La causa più vera del fenomeno politico del brigantaggio, è da ricercarsi nelle condizioni disagiatissime dei contadini, perché con il loro ristretto salario quotidiano non riuscivano a garantirsi il minimo vitale; tributi nuovi, l’aumento del sale e del pane, l’elargizione pecuniaria da parte di elementi reazionari per ingrandire l’opposizione o comprare l’omertà, l’odio per il padrone, il disordine amministrativo, l’analfabetismo.
Elevandoci dal nostro osservatorio d’affezione, quello di Lucoli, ricordiamo le cifre di questa tragedia umana che interessò tutta l’Italia meridionale e non solo l’Abruzzo.
Il governo Cavour dispiegò un esercito di 120.000 uomini, tra fanteria, bersaglieri, cavalleggeri e reali carabinieri, oltre a decine di guardie nazionali costituite da volontari che provenivano dai comuni interessati dal brigantaggio. Sembra non precisa la cifra di 14.000 briganti uccisi in combattimento, fatti prigionieri e condannati ai lavori forzati ma soprattutto passati per le armi dopo la cattura fino a tutto il 1870. La logica che animava i piemontesi era di pura espressione militare, quindi di repressione ed anche la popolazione inerme era un poteziale nemico.
Fu una serie infinita di ritorsioni a catena, di vendette: sangue chiamava altro sangue. Da parte dei governanti “unitari”, i piemontesi, fu imposta la ragion di stato e la storia (che scrivono sempre i vincitori) che abbiamo studiato a scuola o all’università ci ha nascosto le stragi, i saccheggi, le brutalità, gli stupri, commessi da un esercito che si comportava come i precedenti invasori che almeno non avevano usato retorica idealistica per giustificare le loro azioni.
Dall’altro lato i “briganti” nelle cui fila c’erano ex ufficiali borbonici, ex garibaldini velocemente liquidati dal governo Cavour, renitenti alla leva come Amedeo del Soldato, ma anche francesi, spagnoli, criminali comuni, ma soprattutto braccianti e contadini, il ceto sociale dei cosiddetti “cafoni” che non trovavano nel nuovo Stato una collocazione, visto che era ancora retto da logiche feudali e che forse volevano, per orgoglio, vendicarsi di vecchie angherie subite a livello locale.
Per i nostri avi che hanno militato nelle file dei briganti non c’è stato futuro, sono stati scovati ad uno ad uno, non potevano sperare nella clemenza di uno Stato che gli aveva dichiarato una lotta senza quartiere, che non aveva esitato ad imprigionare amici, parenti, innocenti o semplicemente sospettati di qualsivoglia legame.
Ed alla fine di questo anno 2011 che ha visto tantissimi festeggiamenti per questa Italia unita (ma forse poi non così tanto……..), dalle semplici pagine di questo blog vogliamo dedicare un ricordo a questi uomini della nostra terra, il cui coraggio è stata la ricchezza più difficile da abbattere; il coraggio di chi si è ribellato (chi saprebbe farlo oggi “lanci la prima pietra”……) di chi sapeva di non avere speranze per sopravvivere e che ha preferito per questo morire.
Celebriamo con le nostre parole di contemporanei il coraggio della loro forza e dell’attaccamento alla loro terra dove si sono fatti ammazzare.
Anche loro hanno costruito la storia della nostra Patria e come il Lupo che cerca di sopravvivere oggi, nello stesso territorio aspro di montagna, non erano poi così cattivi.
Le storie di Del Soldato, del Giusti e degli altri sono tutt’uno con quelle di fame e miseria che la comunità di Lucoli ha sopportate per tanto tempo ed il cui retaggio sotto forma di spopolamento del territorio è ancora sotto i nostri occhi. Le loro storie si intrecciano con le vicende dei ceti più umili: pastori, carbonai, contadini; sono le storie dolorose delle montagne, delle Frazioni di Lucoli ora anche desertificate dal terremoto del 2009, di tante genti vissute fino a qualche decennio fa e la cui eco risuona ancora tra la valle del Rio, le querce di Santa Croce o le montagne di Campofelice.
Le condizioni dell’Abruzzo sono state sempre caratterizzate da una profonda miseria e con l’avvento del nuovo governo, la miseria è aumentata e con essa è apparso il brigantaggio, che nacque all’inizio come fenomeno politico, ma che poi assunse un carattere di protesta sociale ed a livello di territorio anche di ribellione alla condizione feudale, di rivincita contro i torti e le angherie subite ad opera dei “galantuomini”, nobili proprietari di terre ed armenti, borghesi e notabili (molti cognomi sono ancora oggi tracciabili e noti), che si spartivano la vita economica del paese e che cercavano garanzie pe ri loro beni con ogni governo.
La storia d’Abruzzo, come tutti sanno, è sempre stata un susseguirsi di occupazioni violente (barbari, normanni, svevi, angioini, aragonesi); le popolazioni avevano sempre assistito inermi a tali avvenimenti, ma ora gli eventi del 1861/1862 non vengono più accettati con rassegnazione: il nuovo usurpatore, la nuova sopraffazione non possono più essere sopportati, occorre reagire e le masse contadine iniziano a muoversi. Gli Abruzzesi consideravano da sempre il Regno di Napoli come loro patria: così, ad esempio, i contadini teramani, pur di non votare al plebiscito di annessione al Piemonte, si ribellarono e si ritirarono in montagna, formando bande di briganti per evitare rappresaglie.
La causa più vera del fenomeno politico del brigantaggio, è da ricercarsi nelle condizioni disagiatissime dei contadini, perché con il loro ristretto salario quotidiano non riuscivano a garantirsi il minimo vitale; tributi nuovi, l’aumento del sale e del pane, l’elargizione pecuniaria da parte di elementi reazionari per ingrandire l’opposizione o comprare l’omertà, l’odio per il padrone, il disordine amministrativo, l’analfabetismo.
Elevandoci dal nostro osservatorio d’affezione, quello di Lucoli, ricordiamo le cifre di questa tragedia umana che interessò tutta l’Italia meridionale e non solo l’Abruzzo.
Il governo Cavour dispiegò un esercito di 120.000 uomini, tra fanteria, bersaglieri, cavalleggeri e reali carabinieri, oltre a decine di guardie nazionali costituite da volontari che provenivano dai comuni interessati dal brigantaggio. Sembra non precisa la cifra di 14.000 briganti uccisi in combattimento, fatti prigionieri e condannati ai lavori forzati ma soprattutto passati per le armi dopo la cattura fino a tutto il 1870. La logica che animava i piemontesi era di pura espressione militare, quindi di repressione ed anche la popolazione inerme era un poteziale nemico.
Fu una serie infinita di ritorsioni a catena, di vendette: sangue chiamava altro sangue. Da parte dei governanti “unitari”, i piemontesi, fu imposta la ragion di stato e la storia (che scrivono sempre i vincitori) che abbiamo studiato a scuola o all’università ci ha nascosto le stragi, i saccheggi, le brutalità, gli stupri, commessi da un esercito che si comportava come i precedenti invasori che almeno non avevano usato retorica idealistica per giustificare le loro azioni.
Dall’altro lato i “briganti” nelle cui fila c’erano ex ufficiali borbonici, ex garibaldini velocemente liquidati dal governo Cavour, renitenti alla leva come Amedeo del Soldato, ma anche francesi, spagnoli, criminali comuni, ma soprattutto braccianti e contadini, il ceto sociale dei cosiddetti “cafoni” che non trovavano nel nuovo Stato una collocazione, visto che era ancora retto da logiche feudali e che forse volevano, per orgoglio, vendicarsi di vecchie angherie subite a livello locale.
Per i nostri avi che hanno militato nelle file dei briganti non c’è stato futuro, sono stati scovati ad uno ad uno, non potevano sperare nella clemenza di uno Stato che gli aveva dichiarato una lotta senza quartiere, che non aveva esitato ad imprigionare amici, parenti, innocenti o semplicemente sospettati di qualsivoglia legame.
Ed alla fine di questo anno 2011 che ha visto tantissimi festeggiamenti per questa Italia unita (ma forse poi non così tanto……..), dalle semplici pagine di questo blog vogliamo dedicare un ricordo a questi uomini della nostra terra, il cui coraggio è stata la ricchezza più difficile da abbattere; il coraggio di chi si è ribellato (chi saprebbe farlo oggi “lanci la prima pietra”……) di chi sapeva di non avere speranze per sopravvivere e che ha preferito per questo morire.
Celebriamo con le nostre parole di contemporanei il coraggio della loro forza e dell’attaccamento alla loro terra dove si sono fatti ammazzare.
Anche loro hanno costruito la storia della nostra Patria e come il Lupo che cerca di sopravvivere oggi, nello stesso territorio aspro di montagna, non erano poi così cattivi.
Questi erano i “trofei” dei piemontesi. Foto di briganti uccisi ed esposti come monito, per giorni, alla vista del popolo. |
Pasquale di Prospero di Tornimparte ha scritto questo libro ricchissimo di documenti d’archivio al quale ci siamo in parte ispirati. |
Per questo testo ringraziamo le nostre fonti autorizzate:
Fabrizio Caporale, Angelo De Nicola ed Alessandro Ricci: “Il brigantaggio nell’Aquilano” http://www.angelodenicola.it/articoli/brigantaggio/brigantaggio_indice.htm;
Giancarlo Guzzardi: “Le vie della Miseria” http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Storia/Altre/VARIE/0028_Montagne_Briganti.PDF.
Diocleziano Giardini: Il brigantaggio nella Marsica. http://www.terremarsicane.it/node/319
Pasquale di Prospero: autore del libro “Dove osarono i briganti”. Edizioni controcorrente 2004.