Con questo post vorremmo esprimere dei buoni propostiti per le Feste perché non parliamo di salvare la Terra?
Questo sembra essere l’imperativo globale del nostro tempo. Ma i più intendono la Terra intesa come Pianeta, la Terra in astratto, la Terra come globo. Poi in concreto, lasciamo che i poteri forti dell’industria del cibo cancelli i prodotti autoctoni di un territorio. E’ quel che avviene con l’umanità: chi ama l’umanità in generale, notavano sia Dosteveskij che Leopardi, di solito è indifferente se non ostile agli uomini che gli sono vicini. Amano l’umanità in astratto, la detestano in concreto, fino a sostituire gli uomini con creature artificiali, geneticamente modificate, intelligenze artificiali, robot e postumani. Spesso la guerra contro la natura, si accanisce a partire dalla terra e dai suoi prodotti.
La sostituzione della terra è quel che precisamente avviene ogni volta che si preferisce l’artificiale al naturale, il geneticamente modificato al genuino, il cibo globale al cibo prodotto a chilometro zero. Noi da sempre vogliamo difendere la terra e i territori, sostenendo il principio di prossimità.
Per rilanciare l’agricoltura vanno compiuti tanti atti concreti, ma c’è un atto preliminare da compiere nelle nostre menti e nei nostri cuori: tornare alla terra, considerarla come il nostro habitat naturale, amare e preservare la nostra terra. Le radici sono una risorsa primaria per la natura e l’identità dei popoli, va salvaguardato il nesso vitale tra radici e frutti. Abbiamo trasformato questi principi in realtà quando dodici anni fa abbiamo cominciato a fare i contadini del Giardino della Memoria, reinventando noi stessi.
Per noi la cultura è culto e coltivazione, ossia è legame tra cielo e terra, tra sacro e lavoro nei campi, capacità di guardare in alto e di restare saldamente con i piedi per terra.
Non riusciremo a salvare i nostri beni culturali e naturali, i paesaggi e i territori senza un amore conservatore per la natura, la storia, la tradizione, le radici dell’una e delle altre.
L’Italia, non è un potenza mondiale demografica o economica, militare o tecnologica, ma è la superpotenza mondiale per i beni culturali e per il cibo; il suo primato è nell’intreccio tra arte e natura, tra paesaggi e retaggi, tra cultura e alimentazione. Non si tratta di chiudersi in una sorta di autarchia alimentare, ma di dare una risposta adeguata, attiva, non passiva, alla globalizzazione e alla standardizzazione planetaria del cibo.
Sulla sovranità alimentare, si sono sprecati molti commenti a proposito dell’omonimo ministero, ma un ministero della sovranità alimentare c’è anche in Francia; e pure il patron dello slow food, Carlo Petrini, riconosce il fondamento di una definizione del genere e di una battaglia in questa chiave. Semmai bisogna preoccuparsi che non resti solo un nome, una parola. Sovranità alimentare vuol dire anche tutelare il principio di prossimità, valorizzare l’economia agricola e reale nostrana, a partire dal chilometro zero, attivare una filiera conseguente, difendere i prodotti nostrani. E soprattutto amare la Terra, si, la Terra tutta, ma a partire dalla propria; amare la terra dei padri e fecondarla e consegnarla ai figli. I frutti antichi del Giardino della Memoria sono una realtà.
Lasciare i territori ai figli anche ripulendoli dai rifiuti che, con leggerezza criminale, si abbandonano in luoghi protetti e splendidi come Campo Felice.
Amiamo la nostra terra ma dovremmo essere di più a fare qualcosa di tangibile.