Hanno sconfitto l’estinzione grazie all’operazione salvataggio che è stata condotta da un buon gruppo di aree protette (i parchi nazionali della Majella, d’Abruzzo, del Gran Sasso Monti della Laga, dei Monti Sibillini, dal Velino Sirente, del Cilento) e da Legambiente. Anche le tecniche di cattura degli animali che dovevano essere spostati per ripopolare altre zone sono state molto avanzate. Addormentare un camoscio con la “teleanestesia”, cioè sparando una siringa con narcotico a 30 metri di distanza, vuol dire infatti avere a che fare con un animale in preda al panico, con quattro ruote motrici molto potenti e un cuore che arriva a 200 pulsazioni al minuto: in un attimo può arrivare in cima a un dirupo rischiando di sfracellarsi se perde coscienza. Per evitare questo pericolo e per permettere ai camosci di adattarsi meglio al nuovo ambiente sono state fatte catture di gruppo utilizzando reti molto morbide.
Così, con una campagna durata 20 anni, il camoscio appenninico è uscito dall’elenco delle specie minacciate di estinzione. “Abbiamo fatto la nostra parte e stasera festeggiamo”, commenta Franco Iezzi il presidente del parco della Majella. “Comunque non ci fermiamo qui, continuiamo con il monitoraggio delle popolazioni di camosci che si stanno ambientando nei parchi vicini in modo da garantirne la tenuta nel lungo periodo”.
Un successo ottenuto mettendo assieme la ricerca, una buona gestione del territorio e il consenso. “E’ il made in Italy della biodiversità, l’Italia che sa salvare la sua bellezza e la sua storia”, aggiunge Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente.
“Si è formata una rete fatta di biologi, di ambientalisti, di mondo economico legato al turismo, di buoni amministratori che ha saputo fare della battaglia per la difesa del camoscio appenninico un’impresa collettiva a cui tutti hanno dato un contributo”.