Amministratore
Al di là delle leggi nazionali ed internazionali che lo tutelano l’Orso bruno, ed in particolare la popolazione di Orso bruno marsicano dell’Appennino centrale è per tutti gli italiani che amano la natura l’animale da salvare.
Protetto e scelto a simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, l’Ursus arctos marsicanus viene studiato e monitorato da anni da valenti ricercatori dell’Università di Roma, che hanno analizzato lo status e la salute della popolazione dal punto di vista genetico e formulato le necessarie raccomandazioni per la sua conservazione a lungo termine, che hanno trovato spazio, sotto l’egida del Ministero dell’Ambiente, nella stesura di un Piano di Azione nazionale per la Tutela dell’Orso bruno marsicano, che oggi conta circa 40 esemplari allo stato libero.
Questo impegno ha visto la fondamentale partecipazione, tra gli altri, degli esperti dell’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, del Servizio Scientifico del Parco Nazionale d’Abruzzo, del Corpo Forestale dello Stato e, non ultimo, del WWF Italia, che da anni sostiene con le sue campagne di sensibilizzazione la salvaguardia di questi animali.
Malgrado questi sforzi, l’Orso bruno marsicano è a tutt’oggi ad alto rischio di estinzione. Anche di recente, alcuni soggetti sono stati trovati uccisi, vittime dell’ignoranza e della barbarie umana; il territorio in cui questi animali possono vivere in libertà e sicurezza è limitato; l’eventualità di epidemie o di altri imprevedibili eventi crea motivate ragioni di preoccupazione per la sopravvivenza di una popolazione, in fondo così limitata numericamente. In questo quadro, negli ultimi mesi sono state avanzate ipotesi di intervento con tecniche di conservazione ex situ – captive breeding e/o crioconservazione del seme – da parte della Società di Storia della Fauna “G. Altobello”, che hanno suscitato reazioni più o meno positive fra gli scienziati e gli appassionati della materia.
Nella consapevolezza che la conservazione delle specie minacciate può essere perseguita con successo solo unendo le forze di tutti coloro che intendono sostenerla e di quanto sia importante lanciare messaggi chiari ed univoci, ma soprattutto validi sul piano scientifico, sia al grande pubblico che alle Istituzioni, il Museo Civico di Zoologia di Roma ha organizzato una Tavola Rotonda, in cui tutte le parti interessate potranno avere l’opportunità di confrontarsi.
L’evento ha trovato ispirazione ed incoraggiamento non solo da parte dello stesso Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ma anche dell’Unione Italiana Zoo ed Acquari, che da anni sostiene attraverso attività di educazione e di raccolta fondi la conservazione di questo fantastico mammifero e che coopera con il Progetto Europeo di Conservazione dell’Orso bruno, i cui coordinatori parteciperanno al dibattito con l’apporto della loro preziosa esperienza.
Interverranno (in ordine alfabetico):
Luigi Boitani (Università di Roma “La Sapienza” e Comitato Direttivo SSC/IUCN)
Massimo Capula (Museo Civico di Zoologia e Comitato Scientifico WWF Italia)
Paolo Cavicchio (Giardino Zoologico “Città di Pistoia” e European Association of Zoo and Wildlife Veterinarians)
Paolo Ciucci (Università di Roma “La Sapienza” e Comitato Direttivo Progetto Life ARCTOS)
Eugenio Duprè (Ministero Ambiente, Comitato Tecnico Scientifico Network Nazionale per la Biodiversità)
Dario Febbo (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)
Barbara Franzetti (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)
Leonardo Gentile (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)
Spartaco Gippoliti (Primate Specialist Group della SSC/IUCN)
Corradino Guacci (Società di Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”)
José Kok (Fondazione Alertis, Amsterdam; Studbook dell’Orso Bruno Europeo; EAZA Bear TAG e Bear International)
Lydia Kolter (Università di Colonia e Giardino Zoologico di Colonia; EAZA Bear TAG; Studbook dell’Orso Bruno dagli occhiali; Bear Specialist Group SSC/IUCN)
Anna Loy (Università degli Studi del Molise)
Marco Panella (Ufficio Biodiversità del Corpo Forestale dello Stato)
Massimiliano Rocco (WWF, Progetto Life ARCTOS)
Cesare Avesani Zaborra (Parco Natura Viva e Unione Italiana Zoo ed Acquari)”.
Giovane orso di tre anni investito sull’A24 presso lo svincolo di Tornimparte – 25 aprile 2013 |
Lupo |
Circa un milione di cinghiali, 460mila caprioli, 110mila camosci alpini, 68mila cervi, 18mila daini seguiti da 20mila mufloni, 16mila stambecchi, 1.500 camosci appenninici e circa 1.000 lupi e 50 orsi. La lenta, ma costante avanzata di animali e boschi è ormai una consolidata realtà.
Da vent’anni il Corpo forestale dello Stato è impegnato per la tutela e l’incremento della biodiversità in Italia. Grazie ai finanziamenti della Comunità Europea e ai progetti sviluppati dalla Forestale sono stati raggiunti importanti risultati in campo scientifico-ambientale.
Animali di storica rilevanza come l’orso, il lupo e la lince sono tornati a popolare le nostre contrade da dove erano stati scacciati secoli fa. Un ritorno che fa e farà discutere nonostante questi animali occupino un posto di rilievo non solo nell’habitat naturale, ma anche nell’attività condotta dal Corpo forestale per la tutela della biodiversità.
“Ogni specie ha un ruolo ben preciso nel sistema ambiente – afferma Luigi Boitani, Professore Ordinario dell’Università “La Sapienza” di Roma. Negli anni la scomparsa dei grandi carnivori ha portato ad uno sbilanciamento all’interno della catena alimentare. Il ritorno di specie selvatiche come la lince, con pochi esemplari a Tarvisio e in Piemonte, l’orso con le sue comunità in Abruzzo e in Trentino e il lupo, che popola molte aree del nostro Paese dalla Calabria fino al Piemonte, sono un risultato importante – continua Boitani- che sottolinea come l’incremento della nostra biodiversità sia un valore da difendere e tutelare”.“Per la prima volta, dopo molto tempo, siamo chiamati a studiare gli effetti di una parziale ricolonizzazione animale e vegetale in relazione alla presenza umana – afferma Cesare Patrone, Capo del Corpo forestale dello Stato – stavolta però disponiamo di tutti gli strumenti scientifici e culturali necessari per evitare il predominio dell’uomo a discapito degli animali o viceversa. In alcuni casi le soluzioni propenderanno per l’uomo, in altri per la natura, ma convivere è possibile. Non è lontano il tempo in cui la vecchia Europa diventerà un immenso serbatoio di biodiversità ritrovata”.
“Rispetto a molti altri Paesi l’Italia va in controtendenza, con un incremento degli animali, mai verificatosi negli ultimi cento anni – dice Francesco Petretti, biologo e direttore scientifico della rivista Silvae.it – in particolare è la grande fauna che cresce di numero. Ma non tutti gli esseri viventi sono uguali. Ci sono specie che hanno esigenze diverse rispetto a orsi, lupi, avvoltoi come per esempio il piviere tortolino, la salamandra o il proteo, quest’ultime, che hanno meno impatto mediatico, rischiano l’estinzione.”
Oggi, come nell’antichità, dobbiamo saper accettare che la presenza di fauna, flora e relativa biodiversità non sono un limite allo sviluppo umano ma una risorsa, un’opportunità in più da interpretare, forse in chiave moderna e non necessariamente di stretta sussistenza.
Biodiversità, paesaggio, diritto ed educazione ambientale, inquinamento, storia e filosofia, aggiornamento professionale sono alcune delle tematiche affrontate negli ultimi dieci anni dalla rivista tecnico scientifica “Silvae”, che da sempre è ” la casa del pensiero dei forestali”, uno spazio aperto al confronto con le realtà istituzionali e culturali. Oggi la rivista, il cui impianto generale rimane invariato, approda sul web. Nasce www.silvae.it un portale ricco di notizie ambientali, focus e tematiche a portata di mouse, aperto a tutti. La sua consultazione sarà, infatti, completamente gratuita. Ma Silvae.it guarda avanti e non poteva quindi mancare l’interconnessione con i principali social-media, in modo da raggiungere un pubblico ancora più ampio e diversificato. Una pubblicazione realizzata a cura dall’Ufficio Stampa del Corpo forestale dello Stato.
Area di tutela del camoscio appenninico |
Veduta di Campo Felice – Parco Naturale Regionale Sirente Velino |
Il master si rivolge a chi, nelle Aree Naturali Protette, vuole concretizzare in termini lavorativi le proprie affinità verso la wilderness e attivare percorsi di sviluppo sostenibile, creando imprese verdi ed innovative nella valorizzazione delle produzioni locali di qualità e dei servizi. Rappresenta inoltre una risorsa formativa anche per quanti, operando già a vario titolo all’interno degli Enti parco o negli Enti locali, vogliano incrementare le loro competenze gestionali.
E’ organizzato dalle Facoltà di Medicina Veterinaria, di Agraria, di Scienze Politiche e di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Teramo e rappresenta il frutto della condivisione di idee e progetti tra il mondo della ricerca, le amministrazioni regionali e locali, gli enti gestori delle aree naturali protette (Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, Parco Nazionale della Majella, Area Marina Protetta Torre del Cerrano, Parco Naturale Regionale Sirente Velino, Parco Naturale Paneveggio – Pale di San Martino) e il mondo delle imprese e delle professioni.
L’attività sarà suddivisa in cinque unità didattiche e avrà un carattere “itinerante”. Le sedi didattiche saranno rappresentate da: Pietracamela (TE), nel Parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga; Pineto (TE), sede del Consorzio area marina protetta Torre del Cerrano; Civitella Alfedena (AQ), nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; Paneveggio (TN), nel Parco Naturale Paneveggio Pale di S. Martino, oltre a Teramo, sede dell’Università organizzatrice. Numerose facilitazioni per il soggiorno sono offerte dalle Istituzioni locali e dagli Enti Parco ospitanti.
La scadenza delle domande per concorrere all’ammissione è fissata al 14 marzo 2014 e la quota di iscrizione è di 1.850 Euro. Le lezioni inizieranno nel mese di marzo e termineranno nel mese di luglio 2014. A fine ottobre è prevista la discussione della relazione finale del Master. Anche per questa edizione saranno disponibili varie borse di studio a rimborso totale o parziale della spesa di iscrizione.
Il Master può essere utile per attivare percorsi lavorativi mediante contratti di Apprendistato di alta formazione e ricerca altamente incentivati da normative sul lavoro nazionali (D.lgs 167/2011, L. 99/2013, Bando FIXO) o regionali. Per maggiori info sul contratto di apprendistato contattare lo Sportello placement dell’Università: orientauscita@unite.it
Per scaricare il bando e i documenti di ammissione, nonché per l’aggiornamento sulle offerte di borse di studio, fare riferimento alla sezione Offerta formativa 2013/14 del sito dell’Università degli Studi di Teramo www.unite.it
Per ogni altra informazione contattare direttamente la Segreteria del Master: mastergeslopan@unite.it
Il Master è anche su Facebook (Geslopan Unite e Master e Master GESLOPAN Università degli Studi di Teramo).
Ha invertito la rotta e dalla Siberia centrale è arrivato in Abruzzo, dalle parti del laghetto artificiale di Vetoio (L’Aquila), invece che in Cina o magari in Indocina dove l’istinto avrebbe dovuto condurlo. Sta richiamando l’attenzione deibirdwatcher di mezza Italia un piccolo ma tenace esemplare di Luì di Pallas, un uccelletto migratore che per errore ha fatto la migrazione al contrario. Un evento raro. In Europa, d’inverno, capita di vederlo qualche volta in Gran Bretagna. Ma in Italia si tratta del quindicesimo avvistamento in assoluto (il primo a Ventotene nel 1992 e l’ultimo a Marano Lagunare, in provincia di Udine, lo scorso aprile).
6.000 KM «CONTROMANO» – Sono in tanti a chiedersi come è possibile che questo scricciolo di uccello canoro – il nome iniziale Luì deriva dal suo caratteristico verso mentre la seconda parte (Pallas) ricorda il naturalista tedesco Peter Simon Pallas che lo scoprì in Siberia nell’Ottocento – abbia potuto percorrere, sfidando le intemperie, più di seimila chilometri nella direzione opposta a quella delle migliaia di compagni che ogni anno si mettono in viaggio alla volta del Pacifico.
BRILLA ED È IPERCINETICO – «Probabilmente si è sbagliato – spiega Vincenzo Dundee, l’ornitologo aquilano che lo ha avvistato casualmente un paio di settimane fa tra i salici del laghetto abruzzese imbiancati di neve – Ha effettuato la migrazione al contrario e invece che ad est, verso il caldo, si è diretto ad ovest. È molto piccolo, pesa tra i cinque e gli otto grammi ed è ipercinetico. Quando c’è il sole, è uno spettacolo osservarlo perché brilla e non sta mai fermo. Io l’ho riconosciuto dal caratteristico sopracciglio. In tanti sono venuti a vederlo, persino da Bolzano e Siracusa. Altri sono arrivati da Roma e da Firenze. Ma a primavera ci lascerà perché deve tornare in Siberia».
IL CALEIDOSCOPIO – Nonostante sia lungo appena dieci centimetri, il Luì di Pallas (nome scientifico, Phylloscopus proregulus) è un caleidoscopio di colori: ha parti superiori verdastre e parti inferiori bianche e groppa giallo limone. Ma nel mondo del birdwatching italiano è la rarità delle sue apparizioni Il Luì di Pallas a renderlo così speciale. Due anni fa, a Treviso, attirò l’attenzione di ornitologi dall’intero Paese e diventò una specie di attrazione turistica.
CAMBIAMENTI CLIMATICI O GENI? – Molti ancora gli interrogativi sul perché di queste migrazioni inverse. Secondo alcuni zoologi, la causa potrebbe risiedere anche nei cambiamenti climatici: questo spiegherebbe perché gli avvistamenti in Italia, negli anni, siano sensibilmente cresciuti (quattro in tre anni secondo il sito www.ebnitalia.it) pur restando rari. C’è invece chi sostiene, nel caso dell’esemplare avvistato a L’Aquila, che la direzione sia scritta nelle informazioni genetiche ricevute da qualche antenato che aveva già sperimentato rotte alternative nell’Europa occidentale. «O forse è stata semplicemente una bufera ad avergli fatto perdere la strada, chissà – dice Lorenzo Petrizzelli, l’ornitologo che insieme a Dundee osserva e fotografa da giorni il piccolo uccello -. Sono migliaia gli esemplari che scendono dalla Siberia e può accadere che qualcuno si perda».
http://www.corriere.it/foto-gallery/animali/14_febbraio_10/lui-pallas-italia-si-visto-solo-15-volte-e7ba5cc2-9230-11e3-b1fa-414d85bd308d.shtml#2
VISIONE DALL’ALTO DEGLI IMPIANTI DA SKI DI CAMPO FELICE SIAMO NEL TERRITORIO DEL PARCO VELINO SIRENTE LA SECONDA FOTO RITOCCATA CON FOTOSHOP RIPORTA IL SUOLO AD UNO STATO INCONTAMINATO PRE-IMPIANTI La visione dall’alto dimostra quanto le piste da sci abbiano modificato ed alterato la montagna.
E’ dimostrato con cifre alla mano che non c’è un grande business connesso all’attività sportiva invernale soprattutto se la stagione è tarda come quest’anno, tutti si lamentano, nello sfondo lo spettro dei cambiamenti climatici.
A Campo Felice senza neve in inverno il paesaggio è spettrale il vento che sibila tra i seggiolini sballottati dalla tormenta, appesi a funi immobili. Piloni poco manutenuti, le famose scale mobili mai utilizzate che giacciono sulla piana e nessuno le smaltisce, queste sono come ruderi che nessuno rimuove anche se siamo in un Parco naturale.
Le scale mobili in ferro
E che dire dello Skidome esempio di stupidità umana: costruito con specifiche tecniche errate perchè troppo vicino all’albergo “La Vecchia Miniera” e mai collaudato, che è andato all’asta diverse volte e che nessuno compra perchè si sa che c’è l’infrazione europea ed un finanziamento da restituire.
Lo Skidome quando fu inaugurato si percepisce la pericolosissima vicinanza con il tetto dell’albergo motivo per il quale non ottenne collaudo positivo.
Dalla foto si vede quanto cemento ed asfalto furono utilizzati che deturpano un’area dell’Altopiano. Un articolo di qualche anno fa comparso su Repubblica faceva i conti in tasca all’attività turistica invernale, si parlava soprattutto degli impianti del nord ridotti al fallimento dal riscaldamento climatico e dalla speculazione immobiliare. Oltre centottanta nel solo Nord Italia. La metà di quelli -350- che sono stati chiusi finora. Centottanta vuol dire quattromila tralicci, centinaia di migliaia di metri cubi di cemento, seicentomila metri di fune d’acciaio, cinque milioni di metri di sbancamenti e di foresta pregiata trasformata in boscaglia. Ferri contorti come i ramponi di Achab sulla gobba della balena. Ma non c’è solo il clima tra le ragioni del fallimento. C’è anche la speculazione. Le seggiovie sono solo lo specchietto per le allodole per sdoganare seconde case e villini (quante abitazioni turistiche vuote ci sono a Lucoli?). “Meccanismo semplice”, sottolinea Luigi Casanova di Mountain Wilderness. “Si compra il terreno a basso costo, si cambia il piano regolatore, poi si fa la seggiovia e si costruiscono case al quintuplo del valore”. Se il gioco è spinto, la seggiovia chiude appena esaurita la sua funzione moltiplicatrice del valore immobiliare.
Cambiano i luoghi, ma il trucco è lo stesso. C’è un pool che compra terreni, fonda una società e lancia un progetto sciistico, con un bel nome inventato da una società d’immagine. L’idea è nobile: “rilanciare zone depresse”, così chi fa obiezioni è bollato come nemico del progresso. A quel punto la mano pubblica entra nella gestione-impianti e finisce per controllare se stessa. Così il gioco è fatto. Il sindaco promette occupazione e viene rieletto: intanto parte l’assalto alla montagna. Per indovinare il seguito basta leggere la storia dei ruderi nel vento.
“Questi mostri di ferro e cemento che nessuno smantella rientrano in un discorso più vasto” spiega il geografo Franco Michieli additando lo stato pietoso dell’arredo urbano a Santa Caterina Valfurva, Sondrio. “Il legame con la terra è saltato, i montanari ormai ignorano il brutto. Piloni, immondizie, terrapieni, sbancamenti: tutto invisibile. Si cerca di riprodurre il parco-giochi, e così si svende il valore più grosso: l’incanto dei luoghi”.
E intanto il conflitto tra ambiente e ski-business aumenta in modo drammatico. Servono piste sempre più lisce e veloci, così si lavora a colossali sbancamenti e si prosciugano interi fiumi per l’innevamento artificiale. E c’è di peggio: la monocultura dello sci finisce per “cannibalizzare” tutte le altre opzioni (albergo diffuso, mobilità alternativa ecc.) perché distrugge i luoghi. Vedi Recoaro, dove le gloriose terme sono in agonia, ma si finanzia un impianto a quota mille, dove nevica un anno su cinque.
Ruggisce Fausto De Stefani, scalatore dei quattordici Ottomila e leader carismatico di Mountain Wilderness: “Uno: tutti gli impianti sono in passivo. Due: il clima è cambiato. Tre: gli italiani sono più poveri. Basta o non basta a dire che un modello di sviluppo va ridisegnato? E invece no, siamo furbi noi italiani. Continuiamo a vivere come progresso un fallimento che ha i suoi monumenti arrugginiti in tutto il Paese”.
Ed a Campo Felice cosa sta succedendo alla Montagna ed all’intero Altipiano?
Guardate che bolle in pentola nella cucina dei Comuni dell'”area omogenea della neve”….
Solita idea “nobile” per il “rilancio dello sviluppo e la valorizzazione aquilana del cratere, colpita dal sisma del 06.04.2009, ai fini ambientali e turistici”.
“I comuni di Rocca di Mezzo, Rocca di Cambio, Ovindoli, Lucoli, sottoscrittori del protocollo d’intesa del 03.03.2011, sono interessati e coinvolti per lo sviluppo dell’area omogenea riguardante il comprensorio Velino Sirente“….la loro volontà è quella della “creazione di un’unica stazione sciistica che collega gli impianti sciistici di Ovindoli, Monte Magnolia e quelli di Rocca di Cambio-Campo Felice“. E’ quindi “necessario portare a conoscenza dell’Ente Parco Velino Sirente l’ambito territoriale interessato alla realizzazione del collegamento tra gli impianti sciistici….al fine di permettere allo stesso Ente parco l’adozione di tutti gli atti tecnici ed amministrativi di propria competenza”. Altre sintesi del documento: “per quanto riguarda il Comprensorio Velino Sirente è previsto il collegamento degli impianti sciistici, con un approccio imprescindibile dalla tutela ambientale; tutela ambientale che, ricorda, rappresenta la ricchezza del nostro territorio. Nel caso particolare del collegamento degli impianti sciistici, bisogna capire come far per mettere insieme due realtà imprenditoriali e tutelare, allo stesso tempo il territorio” (quindi ancora non si è capito…). “Il Parco Regionale Sirente Velino deve dire se impatta o meno da un punto di vista ambientale”; “la volontà delle amministrazioni a realizzare tale collegamento auspica che la Comunità del Parco si faccia carico di tale volontà, per poi far sì che il Consiglio del Parco introduca tale collegamento nella pianificazione territoriale del Parco“. Abbiamo tutti creduto nella salvaguardia dei confini dell’Ente Parco Sirente Velino: ora ci aspettiamo che intervenga, perchè tirato in ballo dalle sue responsabilità istituzionali, con un approccio ambientale e tecnicamente appropriato in merito a questa proposta che se non valutata correttamente rischia di cementificare ulteriormente un’area protetta.
Ci piacerebbe anche stimolare un dibattito con le Associazioni Ambientaliste che a più riprese si sono occupate dell’Altopiano di Campo Felice: che cosa ne pensano di questo nuovo progetto?
Documentazione:
http://www.halleyweb.com/c066082/de/at_p_delib_search.php?x=6d1945d5d44359b801e8757db929816b&pag=3
Interessante: http://comune-info.net/2013/01/neve-finta-e-boschi-violati/
http://www.mountainwilderness.it/news/displaynews.php?idnews=369 |
LUCOLI € 3.321.093,88
OVINDOLI € 1.370.448,69
ROCCA DI CAMBIO € 2.076.873,94
ROCCA DI MEZZO € 3.175.251,25
http://www.usrc.it/RicostruzionePri01.aspx