Un tramonto estivo foto di Gillian Nevers |
Amministratore
Colombe: miniatura del bestiario medioevale intitolato “Fisiologo” |
La colomba con alle spalle il campanile della Chiesa della Beata Cristina |
Colle di Lucoli subito dopo il sisma del 2009: un gatto sbigottito |
Incisione di Bartolomeo Pinelli: brigante con cane di razza “corsa”. |
Oppure, abbiamo riveduto con l’immaginazione la Frazione di Colle al tempo dei briganti, così come la descrive in un suo interrogatorio Andrea Miocchi, massaro dell’allevatore Ratini di Lucoli, i briganti erano provveduti di “munizioni di ogni specie per mezo dei carbonai che si recavano in Aquila a vendere carbone in ogni giorno si mercato, di talchè non mancava ad essi mazzi di cartucce polvere e palle, che nella permanenza della comitiva in queste montagne quasi in ogni sera scendevano al villaggio di Colle a bere ed a mangiare e che da tutti in quel paese eran bene accolti senza distinzione, che dei tanti pranzi avevano pure ricevuto dagli altri villaggi di Santa Croce, Prata e Peschiolo e che quando partivano dalla montagna per restituirsi in Roma lasciavano le armi presso un prete del Corvaro“.
Sembra che, contrariamente a quanto avvenne ad esempio a Tornimpare o in altre zone dell’Abruzzo e del Meridione, a Lucoli i briganti non venissero pienamente sostenuti dalla popolazione. Il forte indotto dell’attività armentizia, creava solidarietà per i datori di lavoro che venivano duramente colpiti; non dimentichiamo che nella scala sociale dei poveri un pastore, un casaro, un garzone stavano meglio del contadino, che era l’unico vero miserabile.
Le storie di Del Soldato, del Giusti e degli altri sono tutt’uno con quelle di fame e miseria che la comunità di Lucoli ha sopportate per tanto tempo ed il cui retaggio sotto forma di spopolamento del territorio è ancora sotto i nostri occhi. Le loro storie si intrecciano con le vicende dei ceti più umili: pastori, carbonai, contadini; sono le storie dolorose delle montagne, delle Frazioni di Lucoli ora anche desertificate dal terremoto del 2009, di tante genti vissute fino a qualche decennio fa e la cui eco risuona ancora tra la valle del Rio, le querce di Santa Croce o le montagne di Campofelice.
Le condizioni dell’Abruzzo sono state sempre caratterizzate da una profonda miseria e con l’avvento del nuovo governo, la miseria è aumentata e con essa è apparso il brigantaggio, che nacque all’inizio come fenomeno politico, ma che poi assunse un carattere di protesta sociale ed a livello di territorio anche di ribellione alla condizione feudale, di rivincita contro i torti e le angherie subite ad opera dei “galantuomini”, nobili proprietari di terre ed armenti, borghesi e notabili (molti cognomi sono ancora oggi tracciabili e noti), che si spartivano la vita economica del paese e che cercavano garanzie pe ri loro beni con ogni governo.
La storia d’Abruzzo, come tutti sanno, è sempre stata un susseguirsi di occupazioni violente (barbari, normanni, svevi, angioini, aragonesi); le popolazioni avevano sempre assistito inermi a tali avvenimenti, ma ora gli eventi del 1861/1862 non vengono più accettati con rassegnazione: il nuovo usurpatore, la nuova sopraffazione non possono più essere sopportati, occorre reagire e le masse contadine iniziano a muoversi. Gli Abruzzesi consideravano da sempre il Regno di Napoli come loro patria: così, ad esempio, i contadini teramani, pur di non votare al plebiscito di annessione al Piemonte, si ribellarono e si ritirarono in montagna, formando bande di briganti per evitare rappresaglie.
La causa più vera del fenomeno politico del brigantaggio, è da ricercarsi nelle condizioni disagiatissime dei contadini, perché con il loro ristretto salario quotidiano non riuscivano a garantirsi il minimo vitale; tributi nuovi, l’aumento del sale e del pane, l’elargizione pecuniaria da parte di elementi reazionari per ingrandire l’opposizione o comprare l’omertà, l’odio per il padrone, il disordine amministrativo, l’analfabetismo.
Elevandoci dal nostro osservatorio d’affezione, quello di Lucoli, ricordiamo le cifre di questa tragedia umana che interessò tutta l’Italia meridionale e non solo l’Abruzzo.
Il governo Cavour dispiegò un esercito di 120.000 uomini, tra fanteria, bersaglieri, cavalleggeri e reali carabinieri, oltre a decine di guardie nazionali costituite da volontari che provenivano dai comuni interessati dal brigantaggio. Sembra non precisa la cifra di 14.000 briganti uccisi in combattimento, fatti prigionieri e condannati ai lavori forzati ma soprattutto passati per le armi dopo la cattura fino a tutto il 1870. La logica che animava i piemontesi era di pura espressione militare, quindi di repressione ed anche la popolazione inerme era un poteziale nemico.
Fu una serie infinita di ritorsioni a catena, di vendette: sangue chiamava altro sangue. Da parte dei governanti “unitari”, i piemontesi, fu imposta la ragion di stato e la storia (che scrivono sempre i vincitori) che abbiamo studiato a scuola o all’università ci ha nascosto le stragi, i saccheggi, le brutalità, gli stupri, commessi da un esercito che si comportava come i precedenti invasori che almeno non avevano usato retorica idealistica per giustificare le loro azioni.
Dall’altro lato i “briganti” nelle cui fila c’erano ex ufficiali borbonici, ex garibaldini velocemente liquidati dal governo Cavour, renitenti alla leva come Amedeo del Soldato, ma anche francesi, spagnoli, criminali comuni, ma soprattutto braccianti e contadini, il ceto sociale dei cosiddetti “cafoni” che non trovavano nel nuovo Stato una collocazione, visto che era ancora retto da logiche feudali e che forse volevano, per orgoglio, vendicarsi di vecchie angherie subite a livello locale.
Per i nostri avi che hanno militato nelle file dei briganti non c’è stato futuro, sono stati scovati ad uno ad uno, non potevano sperare nella clemenza di uno Stato che gli aveva dichiarato una lotta senza quartiere, che non aveva esitato ad imprigionare amici, parenti, innocenti o semplicemente sospettati di qualsivoglia legame.
Ed alla fine di questo anno 2011 che ha visto tantissimi festeggiamenti per questa Italia unita (ma forse poi non così tanto……..), dalle semplici pagine di questo blog vogliamo dedicare un ricordo a questi uomini della nostra terra, il cui coraggio è stata la ricchezza più difficile da abbattere; il coraggio di chi si è ribellato (chi saprebbe farlo oggi “lanci la prima pietra”……) di chi sapeva di non avere speranze per sopravvivere e che ha preferito per questo morire.
Celebriamo con le nostre parole di contemporanei il coraggio della loro forza e dell’attaccamento alla loro terra dove si sono fatti ammazzare.
Anche loro hanno costruito la storia della nostra Patria e come il Lupo che cerca di sopravvivere oggi, nello stesso territorio aspro di montagna, non erano poi così cattivi.
Questi erano i “trofei” dei piemontesi. Foto di briganti uccisi ed esposti come monito, per giorni, alla vista del popolo. |
Pasquale di Prospero di Tornimparte ha scritto questo libro ricchissimo di documenti d’archivio al quale ci siamo in parte ispirati. |
Per questo testo ringraziamo le nostre fonti autorizzate:
Pasquale di Prospero: autore del libro “Dove osarono i briganti”. Edizioni controcorrente 2004.
Colle di Lucoli una finestra dedicata alla Madonna – Foto di Alan Turner |
In 2011 I returned again and saw the ruins of the magnificent Abby which I am sure will be restored. I saw as well the memory garden which Fabrizio and Emanuela constructed in many instances with their
own hands. Resilient Lucoli will survive and prosper. How could it not?
Alan Turner currently lives and works in New York City. A Bronx native and graduate of the University of California, Berkeley, Turner has exhibited in the United States and internationally at galleries in New York and Europe. His work is also in such major museums as The Metropolitan Museum of Art, MoMA, The Whitney Museum of American Art, and the Museum of Fine Art in Boston, Massachusetts.
Metropolitan Museum of Art, NY. Southeast Banking Corp., Miami, FL.
Un acquarello di Alan Turner |
Alan Turner è stato uno dei primi a credere nel Memoriale già dal 2010 |
Un esemplare di lupo dall’aria spaventata fotografato a Campofelice foto di Edoardo Di Carlo |
Il Lupo italiano era stato in passato ascritto alla sottospecie italicus, ma recenti indagini genetiche hanno smentito la validità di tale sottospecie. Lupo e cane (Canis lupus familiaris) appartengono alla stessa specie polimorfica e sono quindi tra loro interfecondi.
Distribuzione geografica del Lupo in Italia.
Status e Conservazione del Lupo in Italia.
Ecologica e etologia del Lupo.
Viceversa il lupo appare sotto una luce generalmente favorevole nella mitologia celtica e irlandese. Una tribù irlandese sosteneva di discendere da un lupo e Cornac, re d’Irlanda era stato allattato dai lupi, come Romolo e Remo, e sovente si faceva accompagnare da loro.
In vero, il lupo è un animale molto intelligente, timido e fiero, relegato in una nicchia a causa dell’assoluta mancanza di prede selvagge e costretto a vivere in spazi molto angusti dei parchi o delle riserve, nutrendosi, a volte, di rifiuti.
Nelle società agro-pastorali, come l’Abruzzo, questo animale, ha sempre goduto di un fama sinistra, ma presso i Lapponi e gli Esquimesi, esso è venerato come una divinità apportatrice di vita e di morte, del sole e delle oscurità e per il suo straordinario potere sulla luce.
Questa immagine deleteria e perniciosa si è stratificata nei secoli diventando una valida scusante per lo sterminio indistinto di queste povere bestie che nel 1982 sono diventate una specie protetta.
La tradizione del lupo come simbolo della malvagità, è nata, quindi, da un pericolo reale connesso al mondo agreste della pastorizia, nelle zone montane, pedemontane e nelle pianure ove il lupo aggrediva le greggi sterminandoli e negli inverni più rigidi si spingevano fino alle porte di molti paesini di montagna facendo temere per l’incolumità dei loro abitanti.
Maria Concetta Nicolai, “Calendario abruzzese” ed. Menabo Pescara 1996
Ireneo Bellotta, Emiliano Giangristofaro, “Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità dell’Abruzzo” ed Newton & Comptons Roma 1999
Giovanni Pansa “ Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo” Arnaldo Forni Editore Teramo Ristampa del 1924.
Nicoletta Travaglini in Mystero la rivista del Possibile
Nicoletta Travaglini in Park News
Jean Chevalier, Alain Gheerbrand “Dizionario dei Simboli” Biblioteca Universale Rizzoli 2001
Nicoletta Travaglini “ Il Miracolo Eucaristico di Lanciano” in Graal Rivista Bimestrale Anno I n. 3 Maggio-Giugno 2003In parte tratto da: http://cultura.inabruzzo.it/00840_il-lupo
Madonna con Bambino
Chiesa Confraternitale del Santuario della Madonna della Misericordia Arcidiocesi di Fermo |
L’organo di Giovanni Farina |
Due sono le definizioni filosofiche fondamentali che sono state date alla musica. La prima è quella che la considera come la rivelazione all’uomo di una realtà privilegiata e divina: rivelazione che può assumere o la forma della conoscenza, o quella del sentimento. La seconda è quella che la considera come una tecnica o un insieme di tecniche espressive, che concernono la sintassi dei suoni.
La dottrina della musica come scienza dell’armonia e dell’armonia come ordine divino del cosmo è nata coi Pitagorici i quali affermavano che la musica è armonia dei contrari e accordo dei discordanti. La funzione e i caratteri dell’armonia musicale sono gli stessi dell’armonia cosmica: la musica perciò è il mezzo attraverso il quale ci si eleva alla conoscenza di tale armonia. Platone pertanto includeva la musica al quarto posto fra le scienze propedeutiche (dopo l’aritmetica, la geometria e l’astronomia) e la considerava la più vicina alla dialettica e la più filosofica.
Nel Medioevo la musica fu inclusa nel novero delle arti liberali ritenute fondamentali, in questo periodo. Sant’Agostino espone il passaggio della musica dalla fase della sensibilità (in cui essa si occupa dei suoni) alla fase della ragione in cui diventa contemplazione dell’armonia divina. Anche oggi si fa frequentemente ricorso alla definizione della musica come espressione del sentimento o almeno la si presuppone come cosa ovvia e sicura. In Italia ha contribuito a rafforzarla la dottrina dell’arte di Croce, come espressione del sentimento; ma ovviamente, questa dottrina non è che la generalizzazione a tutto il dominio dell’arte della definizione romantica della musica.
L’invenzione dell’organo è frutto della scienza dei greci; esso trova ragion di vita ad Alessandria d’Egitto durante l’età ellenistica. Alla fine del III secolo a.C., tra gli uomini dotti di Alessandria, figurava un certo Ctesibio, meccanico di professione, individuabile oggi come ingegnere idraulico, motivato dallo spirito d’avventura tipico del suo tempo. Da ragazzo, garzone barbiere nella bottega paterna, inventò un apparecchio pneumatico per sollevare, abbassare e tenere inclinati gli specchi secondo le esigenze dell’arte della rasatura e dell’acconciatura. Questo meccanismo gli aprì le porte agli studi scientifici prima, e ad ulteriori scoperte poi, scoperte che lo resero fondatore della pneumatica. Le sue indagini sull’elasticità dell’aria e dell’acqua, che partono dal principio aristotelico che l’inspirazione dell’aria è trazione e l’espirazione è spinta l’illuminarono a costruire il prototipo della classica pompa aspirante-premente, che da duemila anni è modello d’infinite applicazioni meccaniche e tecniche e che, nella sua forma primordiale (tubo, cilindro, pistone a stantuffo, leva a mano), sopravvive tuttora per estrarre l’acqua dai pozzi di campagna.
I suoi primi tentativi pratici verso questa direzione lo portarono alla costruzione di un “albero sonoro” collocato nel tempio votivo dedicato alla regina Arsinoe, presso il delta del Nilo a Zefiron. Di questo strumento automatico si sa che emetteva modulanti suoni di tromba e cinguettio di uccelli a intervalli regolari, mediante un getto d’acqua che comprimeva l’aria racchiusa in un contenitore. Dall’automa sonoro all’organo, il passo fu assai breve: Ctesibio, con una riserva d’aria il cui flusso era alimentato da una pompa aspirante-premente e la cui pressione veniva equilibrata dal peso dell’acqua spostata in un’ingegnosa combinazione di vasi comunicanti, riuscì a far suonare un sistema di aulòi (gli antenati dell’oboe), superando le limitazioni del fiato umano. Di comune accordo si considera il 245 a.C. come la data di invenzione dell’organo anche se, per ovvi motivi, non può esser stabilita con certezza.
Per tutto il Medioevo, l’organo trovò nella quiete dei monasteri, le condizioni ambientali e culturali favorevoli al suo sviluppo. Così facendo si assistette al progressivo ingresso dell’organo, all’interno dell’ambiente mistico dell’epoca, dove trovò ampio spazio per una futura e grandiosa crescita. Aveva principalmente una funzione di tipo segnaletico, ossia era utilizzato all’inizio o alla fine di un rito solenne, all’ostensione di reliquie, all’ingresso di un’autorità importante, al termine di una processione, ecc. In qualsiasi circostanza solenne che ne richiedeva la presenza musicale.
Nel Quattrocento l’organo comincia a svolgere compiti più appropriati e particolari quali la risposta al canto piano (il gregoriano), agli Inni, ai Salmi durante la recita della Liturgia delle Ore e nella prassi dell’alternatim ossia l’alternanza fra il canto e il suono stesso dello strumento.
Nel Rinascimento l’organo è nel suo splendore: svolge sia la funzione segnaletica all’interno di qualsiasi celebrazione sacra solenne, sia partecipa attivamente alle funzioni religiose come risposta alla salmodia, al Magnificat principalmente nella recita dei Vespri, nella Messa e nelle sue parti fisse (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei); la prassi dell’alternatim si svolse anche nella polifonia, mettendo in musica o i versi dispari o quelli pari, e le parti mancanti venivano suonate al’organo.
Le foto realizzate durante l’ispezione dello strumento |
Il Prof. Alberto Mammarella Ispettore della Soprintendenza |
Le foto e lo studio durante l’ispezione dello strumento |
Soppresso il monastero agostiniano di S. Lucia il 12 ottobre 1908, le spoglie mortali della Beata furono trasferite nel monastero di S. Amico. Il culto, che già subito dopo la sua morte cominciò ad esserle prestato, fu solennemente confermato da Gregorio XVI nel 1841. La sua memoria liturgica ricorre il 18 gennaio.
Frontespizio del libro di Ludovico Antonio Antinori. Scritto nel 1740: due secoli dopo la morte della Beata |
Patria, Nascimento di Mattia |
Scheda dei Beni Culturali relativa alla chiesa della Beata Cristina di Lucoli |