Ambiente
Al di là delle leggi nazionali ed internazionali che lo tutelano l’Orso bruno, ed in particolare la popolazione di Orso bruno marsicano dell’Appennino centrale è per tutti gli italiani che amano la natura l’animale da salvare.
Protetto e scelto a simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, l’Ursus arctos marsicanus viene studiato e monitorato da anni da valenti ricercatori dell’Università di Roma, che hanno analizzato lo status e la salute della popolazione dal punto di vista genetico e formulato le necessarie raccomandazioni per la sua conservazione a lungo termine, che hanno trovato spazio, sotto l’egida del Ministero dell’Ambiente, nella stesura di un Piano di Azione nazionale per la Tutela dell’Orso bruno marsicano, che oggi conta circa 40 esemplari allo stato libero.
Questo impegno ha visto la fondamentale partecipazione, tra gli altri, degli esperti dell’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, del Servizio Scientifico del Parco Nazionale d’Abruzzo, del Corpo Forestale dello Stato e, non ultimo, del WWF Italia, che da anni sostiene con le sue campagne di sensibilizzazione la salvaguardia di questi animali.
Malgrado questi sforzi, l’Orso bruno marsicano è a tutt’oggi ad alto rischio di estinzione. Anche di recente, alcuni soggetti sono stati trovati uccisi, vittime dell’ignoranza e della barbarie umana; il territorio in cui questi animali possono vivere in libertà e sicurezza è limitato; l’eventualità di epidemie o di altri imprevedibili eventi crea motivate ragioni di preoccupazione per la sopravvivenza di una popolazione, in fondo così limitata numericamente. In questo quadro, negli ultimi mesi sono state avanzate ipotesi di intervento con tecniche di conservazione ex situ – captive breeding e/o crioconservazione del seme – da parte della Società di Storia della Fauna “G. Altobello”, che hanno suscitato reazioni più o meno positive fra gli scienziati e gli appassionati della materia.
Nella consapevolezza che la conservazione delle specie minacciate può essere perseguita con successo solo unendo le forze di tutti coloro che intendono sostenerla e di quanto sia importante lanciare messaggi chiari ed univoci, ma soprattutto validi sul piano scientifico, sia al grande pubblico che alle Istituzioni, il Museo Civico di Zoologia di Roma ha organizzato una Tavola Rotonda, in cui tutte le parti interessate potranno avere l’opportunità di confrontarsi.
L’evento ha trovato ispirazione ed incoraggiamento non solo da parte dello stesso Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ma anche dell’Unione Italiana Zoo ed Acquari, che da anni sostiene attraverso attività di educazione e di raccolta fondi la conservazione di questo fantastico mammifero e che coopera con il Progetto Europeo di Conservazione dell’Orso bruno, i cui coordinatori parteciperanno al dibattito con l’apporto della loro preziosa esperienza.
Interverranno (in ordine alfabetico):
Luigi Boitani (Università di Roma “La Sapienza” e Comitato Direttivo SSC/IUCN)
Massimo Capula (Museo Civico di Zoologia e Comitato Scientifico WWF Italia)
Paolo Cavicchio (Giardino Zoologico “Città di Pistoia” e European Association of Zoo and Wildlife Veterinarians)
Paolo Ciucci (Università di Roma “La Sapienza” e Comitato Direttivo Progetto Life ARCTOS)
Eugenio Duprè (Ministero Ambiente, Comitato Tecnico Scientifico Network Nazionale per la Biodiversità)
Dario Febbo (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)
Barbara Franzetti (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)
Leonardo Gentile (Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)
Spartaco Gippoliti (Primate Specialist Group della SSC/IUCN)
Corradino Guacci (Società di Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”)
José Kok (Fondazione Alertis, Amsterdam; Studbook dell’Orso Bruno Europeo; EAZA Bear TAG e Bear International)
Lydia Kolter (Università di Colonia e Giardino Zoologico di Colonia; EAZA Bear TAG; Studbook dell’Orso Bruno dagli occhiali; Bear Specialist Group SSC/IUCN)
Anna Loy (Università degli Studi del Molise)
Marco Panella (Ufficio Biodiversità del Corpo Forestale dello Stato)
Massimiliano Rocco (WWF, Progetto Life ARCTOS)
Cesare Avesani Zaborra (Parco Natura Viva e Unione Italiana Zoo ed Acquari)”.
Giovane orso di tre anni investito sull’A24 presso lo svincolo di Tornimparte – 25 aprile 2013 |
Lupo |
Circa un milione di cinghiali, 460mila caprioli, 110mila camosci alpini, 68mila cervi, 18mila daini seguiti da 20mila mufloni, 16mila stambecchi, 1.500 camosci appenninici e circa 1.000 lupi e 50 orsi. La lenta, ma costante avanzata di animali e boschi è ormai una consolidata realtà.
Da vent’anni il Corpo forestale dello Stato è impegnato per la tutela e l’incremento della biodiversità in Italia. Grazie ai finanziamenti della Comunità Europea e ai progetti sviluppati dalla Forestale sono stati raggiunti importanti risultati in campo scientifico-ambientale.
Animali di storica rilevanza come l’orso, il lupo e la lince sono tornati a popolare le nostre contrade da dove erano stati scacciati secoli fa. Un ritorno che fa e farà discutere nonostante questi animali occupino un posto di rilievo non solo nell’habitat naturale, ma anche nell’attività condotta dal Corpo forestale per la tutela della biodiversità.
“Ogni specie ha un ruolo ben preciso nel sistema ambiente – afferma Luigi Boitani, Professore Ordinario dell’Università “La Sapienza” di Roma. Negli anni la scomparsa dei grandi carnivori ha portato ad uno sbilanciamento all’interno della catena alimentare. Il ritorno di specie selvatiche come la lince, con pochi esemplari a Tarvisio e in Piemonte, l’orso con le sue comunità in Abruzzo e in Trentino e il lupo, che popola molte aree del nostro Paese dalla Calabria fino al Piemonte, sono un risultato importante – continua Boitani- che sottolinea come l’incremento della nostra biodiversità sia un valore da difendere e tutelare”.“Per la prima volta, dopo molto tempo, siamo chiamati a studiare gli effetti di una parziale ricolonizzazione animale e vegetale in relazione alla presenza umana – afferma Cesare Patrone, Capo del Corpo forestale dello Stato – stavolta però disponiamo di tutti gli strumenti scientifici e culturali necessari per evitare il predominio dell’uomo a discapito degli animali o viceversa. In alcuni casi le soluzioni propenderanno per l’uomo, in altri per la natura, ma convivere è possibile. Non è lontano il tempo in cui la vecchia Europa diventerà un immenso serbatoio di biodiversità ritrovata”.
“Rispetto a molti altri Paesi l’Italia va in controtendenza, con un incremento degli animali, mai verificatosi negli ultimi cento anni – dice Francesco Petretti, biologo e direttore scientifico della rivista Silvae.it – in particolare è la grande fauna che cresce di numero. Ma non tutti gli esseri viventi sono uguali. Ci sono specie che hanno esigenze diverse rispetto a orsi, lupi, avvoltoi come per esempio il piviere tortolino, la salamandra o il proteo, quest’ultime, che hanno meno impatto mediatico, rischiano l’estinzione.”
Oggi, come nell’antichità, dobbiamo saper accettare che la presenza di fauna, flora e relativa biodiversità non sono un limite allo sviluppo umano ma una risorsa, un’opportunità in più da interpretare, forse in chiave moderna e non necessariamente di stretta sussistenza.
Biodiversità, paesaggio, diritto ed educazione ambientale, inquinamento, storia e filosofia, aggiornamento professionale sono alcune delle tematiche affrontate negli ultimi dieci anni dalla rivista tecnico scientifica “Silvae”, che da sempre è ” la casa del pensiero dei forestali”, uno spazio aperto al confronto con le realtà istituzionali e culturali. Oggi la rivista, il cui impianto generale rimane invariato, approda sul web. Nasce www.silvae.it un portale ricco di notizie ambientali, focus e tematiche a portata di mouse, aperto a tutti. La sua consultazione sarà, infatti, completamente gratuita. Ma Silvae.it guarda avanti e non poteva quindi mancare l’interconnessione con i principali social-media, in modo da raggiungere un pubblico ancora più ampio e diversificato. Una pubblicazione realizzata a cura dall’Ufficio Stampa del Corpo forestale dello Stato.
Ha invertito la rotta e dalla Siberia centrale è arrivato in Abruzzo, dalle parti del laghetto artificiale di Vetoio (L’Aquila), invece che in Cina o magari in Indocina dove l’istinto avrebbe dovuto condurlo. Sta richiamando l’attenzione deibirdwatcher di mezza Italia un piccolo ma tenace esemplare di Luì di Pallas, un uccelletto migratore che per errore ha fatto la migrazione al contrario. Un evento raro. In Europa, d’inverno, capita di vederlo qualche volta in Gran Bretagna. Ma in Italia si tratta del quindicesimo avvistamento in assoluto (il primo a Ventotene nel 1992 e l’ultimo a Marano Lagunare, in provincia di Udine, lo scorso aprile).
6.000 KM «CONTROMANO» – Sono in tanti a chiedersi come è possibile che questo scricciolo di uccello canoro – il nome iniziale Luì deriva dal suo caratteristico verso mentre la seconda parte (Pallas) ricorda il naturalista tedesco Peter Simon Pallas che lo scoprì in Siberia nell’Ottocento – abbia potuto percorrere, sfidando le intemperie, più di seimila chilometri nella direzione opposta a quella delle migliaia di compagni che ogni anno si mettono in viaggio alla volta del Pacifico.
BRILLA ED È IPERCINETICO – «Probabilmente si è sbagliato – spiega Vincenzo Dundee, l’ornitologo aquilano che lo ha avvistato casualmente un paio di settimane fa tra i salici del laghetto abruzzese imbiancati di neve – Ha effettuato la migrazione al contrario e invece che ad est, verso il caldo, si è diretto ad ovest. È molto piccolo, pesa tra i cinque e gli otto grammi ed è ipercinetico. Quando c’è il sole, è uno spettacolo osservarlo perché brilla e non sta mai fermo. Io l’ho riconosciuto dal caratteristico sopracciglio. In tanti sono venuti a vederlo, persino da Bolzano e Siracusa. Altri sono arrivati da Roma e da Firenze. Ma a primavera ci lascerà perché deve tornare in Siberia».
IL CALEIDOSCOPIO – Nonostante sia lungo appena dieci centimetri, il Luì di Pallas (nome scientifico, Phylloscopus proregulus) è un caleidoscopio di colori: ha parti superiori verdastre e parti inferiori bianche e groppa giallo limone. Ma nel mondo del birdwatching italiano è la rarità delle sue apparizioni Il Luì di Pallas a renderlo così speciale. Due anni fa, a Treviso, attirò l’attenzione di ornitologi dall’intero Paese e diventò una specie di attrazione turistica.
CAMBIAMENTI CLIMATICI O GENI? – Molti ancora gli interrogativi sul perché di queste migrazioni inverse. Secondo alcuni zoologi, la causa potrebbe risiedere anche nei cambiamenti climatici: questo spiegherebbe perché gli avvistamenti in Italia, negli anni, siano sensibilmente cresciuti (quattro in tre anni secondo il sito www.ebnitalia.it) pur restando rari. C’è invece chi sostiene, nel caso dell’esemplare avvistato a L’Aquila, che la direzione sia scritta nelle informazioni genetiche ricevute da qualche antenato che aveva già sperimentato rotte alternative nell’Europa occidentale. «O forse è stata semplicemente una bufera ad avergli fatto perdere la strada, chissà – dice Lorenzo Petrizzelli, l’ornitologo che insieme a Dundee osserva e fotografa da giorni il piccolo uccello -. Sono migliaia gli esemplari che scendono dalla Siberia e può accadere che qualcuno si perda».
http://www.corriere.it/foto-gallery/animali/14_febbraio_10/lui-pallas-italia-si-visto-solo-15-volte-e7ba5cc2-9230-11e3-b1fa-414d85bd308d.shtml#2
VISIONE DALL’ALTO DEGLI IMPIANTI DA SKI DI CAMPO FELICE SIAMO NEL TERRITORIO DEL PARCO VELINO SIRENTE LA SECONDA FOTO RITOCCATA CON FOTOSHOP RIPORTA IL SUOLO AD UNO STATO INCONTAMINATO PRE-IMPIANTI La visione dall’alto dimostra quanto le piste da sci abbiano modificato ed alterato la montagna.
E’ dimostrato con cifre alla mano che non c’è un grande business connesso all’attività sportiva invernale soprattutto se la stagione è tarda come quest’anno, tutti si lamentano, nello sfondo lo spettro dei cambiamenti climatici.
A Campo Felice senza neve in inverno il paesaggio è spettrale il vento che sibila tra i seggiolini sballottati dalla tormenta, appesi a funi immobili. Piloni poco manutenuti, le famose scale mobili mai utilizzate che giacciono sulla piana e nessuno le smaltisce, queste sono come ruderi che nessuno rimuove anche se siamo in un Parco naturale.
Le scale mobili in ferro
E che dire dello Skidome esempio di stupidità umana: costruito con specifiche tecniche errate perchè troppo vicino all’albergo “La Vecchia Miniera” e mai collaudato, che è andato all’asta diverse volte e che nessuno compra perchè si sa che c’è l’infrazione europea ed un finanziamento da restituire.
Lo Skidome quando fu inaugurato si percepisce la pericolosissima vicinanza con il tetto dell’albergo motivo per il quale non ottenne collaudo positivo.
Dalla foto si vede quanto cemento ed asfalto furono utilizzati che deturpano un’area dell’Altopiano. Un articolo di qualche anno fa comparso su Repubblica faceva i conti in tasca all’attività turistica invernale, si parlava soprattutto degli impianti del nord ridotti al fallimento dal riscaldamento climatico e dalla speculazione immobiliare. Oltre centottanta nel solo Nord Italia. La metà di quelli -350- che sono stati chiusi finora. Centottanta vuol dire quattromila tralicci, centinaia di migliaia di metri cubi di cemento, seicentomila metri di fune d’acciaio, cinque milioni di metri di sbancamenti e di foresta pregiata trasformata in boscaglia. Ferri contorti come i ramponi di Achab sulla gobba della balena. Ma non c’è solo il clima tra le ragioni del fallimento. C’è anche la speculazione. Le seggiovie sono solo lo specchietto per le allodole per sdoganare seconde case e villini (quante abitazioni turistiche vuote ci sono a Lucoli?). “Meccanismo semplice”, sottolinea Luigi Casanova di Mountain Wilderness. “Si compra il terreno a basso costo, si cambia il piano regolatore, poi si fa la seggiovia e si costruiscono case al quintuplo del valore”. Se il gioco è spinto, la seggiovia chiude appena esaurita la sua funzione moltiplicatrice del valore immobiliare.
Cambiano i luoghi, ma il trucco è lo stesso. C’è un pool che compra terreni, fonda una società e lancia un progetto sciistico, con un bel nome inventato da una società d’immagine. L’idea è nobile: “rilanciare zone depresse”, così chi fa obiezioni è bollato come nemico del progresso. A quel punto la mano pubblica entra nella gestione-impianti e finisce per controllare se stessa. Così il gioco è fatto. Il sindaco promette occupazione e viene rieletto: intanto parte l’assalto alla montagna. Per indovinare il seguito basta leggere la storia dei ruderi nel vento.
“Questi mostri di ferro e cemento che nessuno smantella rientrano in un discorso più vasto” spiega il geografo Franco Michieli additando lo stato pietoso dell’arredo urbano a Santa Caterina Valfurva, Sondrio. “Il legame con la terra è saltato, i montanari ormai ignorano il brutto. Piloni, immondizie, terrapieni, sbancamenti: tutto invisibile. Si cerca di riprodurre il parco-giochi, e così si svende il valore più grosso: l’incanto dei luoghi”.
E intanto il conflitto tra ambiente e ski-business aumenta in modo drammatico. Servono piste sempre più lisce e veloci, così si lavora a colossali sbancamenti e si prosciugano interi fiumi per l’innevamento artificiale. E c’è di peggio: la monocultura dello sci finisce per “cannibalizzare” tutte le altre opzioni (albergo diffuso, mobilità alternativa ecc.) perché distrugge i luoghi. Vedi Recoaro, dove le gloriose terme sono in agonia, ma si finanzia un impianto a quota mille, dove nevica un anno su cinque.
Ruggisce Fausto De Stefani, scalatore dei quattordici Ottomila e leader carismatico di Mountain Wilderness: “Uno: tutti gli impianti sono in passivo. Due: il clima è cambiato. Tre: gli italiani sono più poveri. Basta o non basta a dire che un modello di sviluppo va ridisegnato? E invece no, siamo furbi noi italiani. Continuiamo a vivere come progresso un fallimento che ha i suoi monumenti arrugginiti in tutto il Paese”.
Ed a Campo Felice cosa sta succedendo alla Montagna ed all’intero Altipiano?
Guardate che bolle in pentola nella cucina dei Comuni dell'”area omogenea della neve”….
Solita idea “nobile” per il “rilancio dello sviluppo e la valorizzazione aquilana del cratere, colpita dal sisma del 06.04.2009, ai fini ambientali e turistici”.
“I comuni di Rocca di Mezzo, Rocca di Cambio, Ovindoli, Lucoli, sottoscrittori del protocollo d’intesa del 03.03.2011, sono interessati e coinvolti per lo sviluppo dell’area omogenea riguardante il comprensorio Velino Sirente“….la loro volontà è quella della “creazione di un’unica stazione sciistica che collega gli impianti sciistici di Ovindoli, Monte Magnolia e quelli di Rocca di Cambio-Campo Felice“. E’ quindi “necessario portare a conoscenza dell’Ente Parco Velino Sirente l’ambito territoriale interessato alla realizzazione del collegamento tra gli impianti sciistici….al fine di permettere allo stesso Ente parco l’adozione di tutti gli atti tecnici ed amministrativi di propria competenza”. Altre sintesi del documento: “per quanto riguarda il Comprensorio Velino Sirente è previsto il collegamento degli impianti sciistici, con un approccio imprescindibile dalla tutela ambientale; tutela ambientale che, ricorda, rappresenta la ricchezza del nostro territorio. Nel caso particolare del collegamento degli impianti sciistici, bisogna capire come far per mettere insieme due realtà imprenditoriali e tutelare, allo stesso tempo il territorio” (quindi ancora non si è capito…). “Il Parco Regionale Sirente Velino deve dire se impatta o meno da un punto di vista ambientale”; “la volontà delle amministrazioni a realizzare tale collegamento auspica che la Comunità del Parco si faccia carico di tale volontà, per poi far sì che il Consiglio del Parco introduca tale collegamento nella pianificazione territoriale del Parco“. Abbiamo tutti creduto nella salvaguardia dei confini dell’Ente Parco Sirente Velino: ora ci aspettiamo che intervenga, perchè tirato in ballo dalle sue responsabilità istituzionali, con un approccio ambientale e tecnicamente appropriato in merito a questa proposta che se non valutata correttamente rischia di cementificare ulteriormente un’area protetta.
Ci piacerebbe anche stimolare un dibattito con le Associazioni Ambientaliste che a più riprese si sono occupate dell’Altopiano di Campo Felice: che cosa ne pensano di questo nuovo progetto?
Documentazione:
http://www.halleyweb.com/c066082/de/at_p_delib_search.php?x=6d1945d5d44359b801e8757db929816b&pag=3
Interessante: http://comune-info.net/2013/01/neve-finta-e-boschi-violati/
http://www.mountainwilderness.it/news/displaynews.php?idnews=369 |
L’Associazione italiana allevatori (Aia), per la settima volta consecutiva, ha deciso di celebrare in forma solenne la festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali e patrono di tutti gli allevatori, che ricorre il 17 gennaio. Più di 4 mila allevatori provenienti da tutta la Penisola si sono dati appuntamento a piazza San Pietro per partecipare alla messa celebrata dal cardinale Angelo Comastri e visitare la fattoria a cielo aperto allestita davanti al colonnato del Bernini.Non possiamo non citare tra gli allevatori presenti quello di Anna Diamanti e Enrico Cordeschi, di Lucoli che hanno sfilato per via della Conciliazione, dando splendore all’imprenditorialità del territorio.
La celebrazione della festività di Sant’Antonio è una delle ricorrenze più sentite nelle campagne italiane. In questa giornata, da sempre, si benedicono le stalle e gli animali si tratta di una cerimonia antica, che si perde nel tempo, testimoniata dalle immagini e dalle statue votive del santo che vengono esposte all’esterno delle aziende agricole a protezione di uomini, mandrie e raccolti. Nell’omelia non sono mancate le parole di incoraggiamento per gli allevatori e le loro famiglie: «Il Signore – ha detto Comastri – ci ha fatti custodi e non padroni del Creato ed è in quest’ottica che dovete condurre la vostra attività di agricoltori. Tenendo sempre ben presente che se manca la luce della fede il Libro della vita è indecifrabile. Un valore di inestimabile importanza che vi esorto a trasmettere alle giovani generazioni».
Al termine della messa in piazza Pio XII è proseguita la tradizionale benedizione di uomini e animali, con i cavalli e i cavalieri che hanno partecipato alla sfilata lungo via della Conciliazione, aperta dalla Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a cavallo.
Sul finire degli anni 1950 venne istituito il libro genealogico (LG) della razza che fu inizialmente gestito dall’Istituto d’incremento ippico di Ferrara (ex deposito stalloni dell’Esercito Italiano) e, successivamente, dall’Associazione nazionale allevatori del cavallo agricolo italiano da tiro pesante rapido (ANACAITPR) sotto il controllo del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali.
Cavallo da tiro pesante |
Si è scritto che la nuova Pac sarà più verde, più giovane e per certi aspetti più equa. Sarà più verde in quanto la riforma introduce pratiche agricole più rispettose dell’ambiente e quasi un terzo dei pagamenti diretti che l’Ue versa agli agricoltori saranno subordinati a misure ecologiche obbligatorie, come la diversificazione delle colture e la manutenzione permanente di prati e pascoli. La nuova Pac aprirà ai giovani, in quanto già dal 2014 una quota maggiore del bilancio agricolo verrà loro destinata. I produttori (fino a 40 anni) che si insedieranno per la prima volta in un’azienda agricola, otterranno infatti un incremento del 25%, per i primi 5 anni, dei pagamenti diritti Ue.
L’agricoltura europea sarà anche più equa in quanto i fondi verranno assegnati solo agli agricoltori ‘attivi’, ossia coloro che coltivano la terra. Inoltre, per la prima volta si riducono obbligatoriamente i pagamenti Ue alle aziende che ricevono di più, per darle a chi ha meno, o per creare nuovi posti di lavoro nelle aree rurali.
Si segnala a riguardo l’articolo: Confagricoltura L’Aquila incontra gli agricoltori
Venerdì 10 Gennaio 2014
L’imminente predisposizione del nuovo Piano di Sviluppo Rurale (PSR) da parte della regione Abruzzo e l’applicazione della riforma della Politica Agricola Comune (PAC) 2014-2020 appena varata dalla Commissione Europea sono i temi di una serie di seminari organizzati da Confagricoltura L’Aquila e destinati agli agricoltori.
11 Gennaio 2014 ore 15,30
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Sala Consiglio Comune Luco dei Marsi |
13 Gennaio 2014 ore 15,00
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Auditorium Enrico Fermi del Comune di Celano |
14 Gennaio 2014 ore 15,00
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Sala Consiglio Comune Ortucchio |
16 Gennaio 2014 ore 15,00
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Sala Consiglio Comune San Benedetto dei Marsi |
21 Gennaio 2014 ore 15,00
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Sala Consiglio Comune Magliano dei Marsi |
23 Gennaio 2014 ore 15,00
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Sala Consiglio Comune di Trasacco |
30 Gennaio 2014Ore 15,30
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Sala Convegni Sviluppo Italia Sulmona |
Created in 1974, the EEB is now Europe’s largest federation of environmental organisations with 140+ member organisations who gain their membership from the general public. Because of this, we are guided by the voices of 15 million European citizens, and act as the ears and voice of its members towards the EU decision makers.
We work on a vast array of environmental issues and our policy officers use experts, scientists, our members, and politicians to work towards developing and protecting environmental policies. Take a look at our
Our office in Brussels closely coordinates EU-oriented activities with EEB Members at national level around Europe. We also work in coalitions, such as the Green 10 and Spring Alliance, as well as in ad-hoc coalitions with representatives of other interest groups when appropriate.
Esemplare di lupo femmina – Foto Fabrizio Soldati |
Questa specie, negli anni ’80 era ridotta ad un centinaio di individui con nuclei sparsi e separati gli uni dagli altri lungo la dorsale appenninica.
Anche se probabilmente il numero all’epoca poteva risultare sottostimato, certo la sproporzione con il numero di cani vaganti, randagi e inselvatichiti era ed è anche tutt’oggi enorme.
Un contributo importante per migliorare la situazione va accreditata all’operazione San Francesco, promosso negli anni ’80 dal prof. Franco Tassi, all’epoca Direttore del Parco d’Abruzzo. Questa operazione così efficace anche dal punto di vista mediatico è riuscita ad arginare il declino numerico e soprattutto a diffondere nella popolazione un’ immagine positiva di questo predatore.
Al successo dell’espansione numerica e dell’areale del Lupo hanno contribuito la forte trasformazione antropica che ha spopolato le aree più impervie degli Appennini, e la grande plasticità ecologica e trofica della specie frutto anche di migliaia di anni di convivenza a contatto con l’uomo.
Paradossalmente sono stati gli stessi cacciatori, involontariamente, con l’introduzione a fini venatori e la successiva grande diffusione, soprattutto di cinghiali, ma anche di altri ungulati, a creare risorse trofiche altrimenti non disponibili.
In questi anni abbiamo seguito con molto interesse e grande soddisfazione questo evento naturale, sottovalutando la ricomparsa di antichi conflitti con le popolazioni residenti e soprattutto con gli allevatori che inevitabilmente subivano dei danni da questa presenza. Danni che si sono andati a sommare con ben altri problemi a cui il mondo della pastorizia ha dovuto affrontare. Dunque chi meglio del Lupo poteva essere usato come capro espiatorio di una situazione già difficile?
A ciò si aggiunga il fatto che spesso i danni imputati ai lupi sono riconducibili anche a troppi cani vaganti e spesso anche agli ibridi che costituiscono una seria minaccia per le popolazioni di Lupi presenti. Cani vaganti e ibridi, entrambe facce dello stesso problema, la cui complessità è stata sottovalutata.
Allo stato attuale da dove cominciare per affrontare una situazione nuova? Non più quella di adottare strategie per salvaguardare una popolazione al limite dell’estinzione, ma al contrario di gestire una specie in espansione e che inevitabilmente incrementa il conflitto con gli operatori nel territorio.
Da questo punto di vista non si parte da zero. Numerose esperienze, anche con un certo grado di successo sono state sperimentate e altri progetti sono in fase di sperimentazione: da quelle di far uso di cani di guardiania, selezionati ed addestrati allo scopo, a quelli di aiutare economicamente gli allevatori ad allestire allevamenti con strutture di protezione efficaci. Utile potrebbe anche essere quello di rivalutare i prodotti, carni, formaggi ecc. provenienti da aree di accertata presenza di Lupo.
Se prevalesse la sola componente emotiva, così come appare, e non facessimo uno sforzo per un approccio laico e razionale, probabilmente non riusciremo a limitare le uccisioni così come purtroppo sta oggi accadendo.
La gestione del Lupo non può prescindere dal difficile quanto inevitabilmente tentativo di dialogo almeno con quella parte del mondo della pastorizia meno preclusa da pregiudizi e ostilità.
A mio parere appare inefficace come unica arma di contrasto, quella di affidare alla semplice repressione dei crimini di uccisione di lupi. Sarebbe strategicamente perdente, come in certe realtà sta accadendo, lasciare la questione in mano allo schiamazzo populista di alcuni improvvisati politicanti i quali cercano di cavalcare il malcontento in cambio di qualche meschino interesse personale.
Altrettanto controproducente sarebbe esorcizzare il problema relegandolo alla sola sfera etica.
Le normative internazionali le leggi nazionali impongono giustamente di considerare il Lupo una specie prioritaria. Affrontare il problema significa non relegarlo al rapporto lupo- pastore ma affrontarlo anche dal punto di vista economico. Dovrà essere l’intera società a farsi carico, anche economicamente, di una specie che giustamente, per il valore scientifico, ecologico e simbolico, è di grande importanza anche per l’intera collettività.
Per questo i danni da esso causati dovranno essere rapidamente accertati e risarciti, così come dovranno essere incentivate tutte quelle strategie efficaci, non cruente, per limitare i danni.
Credits:
V. Romano Spica, S. Giampaoli, L. Buggiotti, M. Vitali, G. Gianfranceschi, R. Soldati
Tubifex Tubifex Rossanensis – Campo Felice (AQ) – Photo by Rossano Soldati – CLICCARE SULL’IMMAGINE |
photo footage |
Campo felice – Foto di Rossano Soldati |
Campo Felice – Foto di Rossano Soldati |
Campo Felice – foto di Rossano Soldati |
Gli arcobaleni sono dei fenomeni ottici, che si vengono a creare quando la luce del Sole passa attraverso alle gocce d’acqua rimaste sospese in aria dopo un temporale, o anche vicino a una cascata. I colori che compongono gli arcobaleni non sono mai nettamente separati tra di loro e, solitamente, ciò che vede il nostro occhio è un arco rosso esternamente, poi una banda di colore arancione, seguita da una gialla, verde, azzurra, indaco e, alla fine, viola. Le foto riportate rappresentano un caso particolare quelle in cui un arcobaleno è percepito dai nostri occhi come bianco.
Secondo quanto pubblicato sulla rivista Focus, un altro arcobaleno di nebbia apparve nei cieli del Polo Nord, davanti alla macchina fotografica del fotografo russo Sam Dobson, un’apparizione spettacolare avvenuta durante una spedizione nel Circolo Polare Artico, mentre il fotografo russo stava viaggiando su una rompighiaccio partita dalla città russa di Murmansk. In quel caso, il bellissimo fenomeno naturale si formò, come nel caso dei classici arcobaleni, grazie a delle goccioline d’acqua sospese in aria che infrangevano la luce del Sole, con l’unica differenza che le gocce di nebbia e condensa erano talmente sottili (più fini di 0,05 millimetri) che non agivano come spettri di luce che separano le varie lunghezze d’onda e rimandavano quindi un arco privo di colori o meglio, meravigliosamente bianco.
Per saperne di più: http://www.focus.it/ambiente/natura/bianco-come-il-ghiaccio_C38.aspx