Ll’identità è un bisogno radicale dell’animo umano. Un bisogno naturale e culturale, personale e comunitario, su cui si fonda il riconoscimento di sé e il rispetto dell’altro; vale anche l’inverso. Non c’è dialogo che non avvenga tra identità differenti; chi pretende di dialogare mettendo da parte se non addirittura cancellando le identità, rende inutile e impossibile il dialogo; non può esistere infatti un dialogo tra nientità neutre, intercambiabili.
L’epoca che stiamo vivendo è invece protesa a deprimere e vanificare le identità, a considerarle d’ostacolo alla pace e all’inclusione, alla collaborazione, residui tossici e contundenti di una chiusura al mondo. È un bombardamento dell’identità così vasto, costante e capillare; dall’alto, dall’interno e dal basso. Una cappa di obblighi, emergenze e disposizioni calata dall’alto, un’infiltrazione continua di modelli d’influenza ostili attraverso i media e le istituzioni.
Larga parte dei conflitti e del malessere che attraversano le società deriva dall’identità in pericolo, dal mancato riconoscimento e rispetto di ciò che siamo, dalla desertificazione delle differenze, dalla vertigine del mondo globale e spaesato. Anche nel microcosmo di Lucoli ci sono conflitti di identità. Anche per le piante, una delle nostre esperienze, vale lo stesso discorso, noi la voriamo per ricercare e riaffermare l’identità della biodiversità locale, piantando a Lucoli alberi che rischiano di scomparire.
L’identità entra nella storia, ed è comunque un essere nel divenire; il fluire dell’identità si chiama tradizione, che è un trasmettere in cui persistenza e duttilità cercano un punto di equilibrio. L’identità non presuppone un mondo immobile ma una società che sa mutare, ricordare, far tesoro dell’esperienza e del patrimonio ereditato ma anche affrontare le sfide del futuro. La tradizione non è immobilità o culto del passato ma continuità, procedere e tornare; e, mutatis mutandis, salvare quel che non merita di perire. Come i nostri alberi: la mela Zitella, la mela Gelata, la mela Limoncella, la mela Rosa Romana e tante altre.
Con le attività dei nostri soci, semplici ma faticose e costanti, combattiamo le aggressioni a tutto ciò che costituisce l’habitat naturale e culturale, biologico e storico della nostra cultura: il senso della spiritualità di un luogo dal profondo significato etico, i legami sociali, le appartenenze affettive, il sentire comune delle comunità agricole, i legami tutti.
Tutto questo solo proteggendo e coltivando, sopra ogni avversità, il Giardino della Memoria del Sisma del 2009, voluto per ricordare i tanti amici morti nel terremoto d’Abruzzo.
Coltivando le 80 varietà di piante del Giardino della Memoria salviamo i vasi sanguigni entro cui scorre la vita di un uomo; dalla famiglia alle amicizie, dalla comunità locale alla comunità nazionale, dal lessico corrente ai simboli e alle tradizioni in cui è nato e cresciuto e agli stili di vita che debbono comprendere la memoria del dolore, delle fatiche del vivere e delle tradizioni.
Non abbiamo voluto rimanere “disconnessi” dalle nostre origini culturali come quelle agricole, dalle emozioni del ricordo dei nomi delle persone che non ci sono più e che ci “parlano” attraverso gli alberi che fioriscono e fruttificano.
Il progetto del Giardino è semplicemente quel che siamo, la nostra realtà di uomini, anima, mente ed esperienze.
Noi non vogliamo essere “fluidi” nel ricordo e fissarci solo sulle date delle ricorrenze, per questo abbiamo piantato gli alberi e li coltiviamo tutto l’anno.