Questo è stato un anno fortunato per il Giardino della Memoria i nostri soci hanno una passione speciale per ritrovare alberi da frutto che sembrano spariti, ricercarne il nome e la località di provenienza e trapiantarli nel terreno “archivio” di questo nostro Monumento verde, dove tornano a dare ottimi frutti. Il nostro un lavoro di tredici anni per salvare queste piante dalla loro scomparsa definitiva. Come gli archeologi ricostruiscono una civiltà da un frammento, il Giardino della Memoria dai frutti cerca di portare alla luce mondi e culture di intere comunità locali. Abbiamo cercato dagli agricoltori anziani, parlando, ma soprattutto ascoltando i loro racconti e testimonianze, abbiamo riallacciato il filo della memoria interrotto tra vecchie e nuove generazioni. La ricerca è stata fatta in antichi poderi abbandonati, nei monasteri di suore e gli alberi ritrovati e piantati nel Giardino sono oggi testimoni ormai muti della antica cultura rurale. Il grande realizzatore di questa attività di ricerca: Enzo Sebastiani.
La biodiversità, anche quella ritenuta perduta, è tra i patrimoni più preziosi da tutelare in ogni modo possibile, anche perché in quei sapori e saperi c’è un pezzo della nostra salute e della nostra economia futura. I frutti antichi, per la consuetudine comunitaria di tramandarli sono noti con almeno un nome proprio riconosciuto e usato dalla gente. Spesso comprendono il periodo di maturazione che viene scandito dalle numerose denominazioni dialettali di natura “temporale”. Pensiamo alla “Mela rossa d’Estate” alla “Pera Spadona Invernale” alla “Mela Zitella” che rimane sola perché matura per ultima.
La nostra Associazione ha fatto degli investimenti inserendo nel Giardino sei nuove cultivar, compresa la “Mela Campanina” ritrovata ad Acciano di cui alleghiamo una foto di repertorio. Viene raccolta all’inizio del mese di Ottobre ed era un frutto che veniva consumato a pranzo, a merenda e a cena per tutto l’inverno fino a primavera inoltrata. Una mela che si conservava benissimo per lunghissimi periodi anche senza frigoriferi. Già citata in documenti del XIX secolo, la mela campanina spesso veniva cotta al forno, per la delizia dei bambini e degli anziani. Nel modenese è la mela con la quale si facevano le mostarde. Nel dopoguerra la coltivazione di questa mela venne quasi del tutto abbandonata, perché il mercato richiedeva mele più dolci, più grandi e più economicamente vantaggiose. E’ anche chiamata “la mela della nonna” per sottolineare i suoi legami con il mondo antico, ma è anche nota con il nome di “modenese” che sancisce in pieno l’appartenenza al territorio di origine eppure è arrivata anche in Abruzzo. L’appellativo “campanina” pare invece derivi dalla caratteristica di avere due frutti per corimbo, che assomigliano a una coppia di campanelli.
L’origine non è nota, ma potrebbe trattarsi di un semenzale individuato nel Modenese, come fa supporre l’appellativo “pomo di Modena” col quale veniva denominata nel 1815 dal pomologo Giorgio Gallesio (1772-1839).
Non ci resta che attendere che le nuove varietà attecchiscano e fruttifichino.
Quattro varietà sono già state adottate: una da nostri soci americani Nevers.